| LA FINE DI UN CICLO Il patron non è riuscito a coprire un debito di 260mila euro. Adesso sono cinque le cordate interessate a rilevare il titolo Ufficiale: il Perugia è fallito Il Tribunale ha messo la parola fine alla gestione Covarelli: corsa contro il tempo per salvare la categoria PERUGIA - Il Perugia calcio è stato dichiarato fallito. Per la seconda volta nel volgere di cinque anni (il primo crac era stato quello di Luciano Gaucci). La sentenza del tribunale che riguarda anche il presidente Covarelli e la sua azienda, la Mas Immobiliare - chiude la lunga agonia della società, ma può anche rappresentare la strada per una ripresa, come quella della Fenice che rinasce dalle sue ceneri. Il giudice delegato ai fallimenti Umberto Rana ha nominato immediatamente un curatore fallimentare, il ragionier Francesco Patumi, che ha subito effettuato l’inventario dei beni nella sede del Renato Curi e ha apposto i sigilli all’azienda. La curiosità è che Covarelli e il Perugia sono falliti, sostanzialmente, per una cifra di 260mila euro, considerato che i creditori maggiori – i lo Sole e Pomponi – avevano firmato un atto di desistenza. « L’interesse del tribunale - ha spiegato Rana - è di vendere l’azienda calcistica entro i termini utili per la iscrizione al campionato di competenza. Non vogliamo danneggiare nessuno e fare più presto possibile, in maniera da rimettere in moto l’azienda sportiva » . La decisione è stata presa, scritta e pubblicata nel corso di una mattinata. Un record, quasi. Quando gli avvocati di Covarelli sono arrivati in tribunale per depositare le annunciate integrazioni al preliminare di acquisto da parte della Osj Knits of Malta Fundation, la decisione del collegio ( presidente Aldo Criscuolo, a latere Francesca Altrui e Rana) era stata depositata da appena un quarto d’ora. « Sono vuoto, distrutto - ha commentato un Covarelli in lacrime, nel pomeriggio - Non so ancora cosa fare. Domani mattina mi incontrerò con i miei legali e deciderò il da farsi (una azione di revoca del fallimento?). Ho commesso degli errori in questi due anni, ma essere definito un demonio, nella mia città, per la quale mi sono speso tutto, non mi sembra giusto… » . La notizia del fallimento ha colto Covarelli proprio in sede, al Curi. Per lasciare lo stadio il presidente è dovuto salire su una vettura della digos. Ora si guarda al futuro. Entro la prima quindicina di giugno il curatore fallimentare dovrebbe indire l’asta. Vi dovrebbero partecipare diverse cordate e cioè il gruppo messo insieme da Ermanno Pieroni (il più gradito ai tifosi) che vedrebbe come capofila il gruppo Bergamelli di Bergamo, il gruppo Nicola Ermini, quello dell’imprenditore Torello Laurenti, la Fondazione (inglese) dei cavalieri di Malta, e una cordata formata da imprenditori romani e perugini. Ovviamente bisogna correre contro il tempo. E già si annuncia un incontro, questa mattina, di Pieroni con il sindaco Wladimiro Boccali. Secondo il consulente di Pieroni, Donato Di Campli, i tempi per il fallimento pilotato (tra iscrizione, ripiano dei debiti con i dipendenti e la Figc e campagna acquisti) dovrebbero servire 67 milioni di euro. di Clero Bertoldi corriere dello sport
BAGNI E SOCI FECERO TREMARE IL MILAN: 1978-79, UN CAMPIONATO SENZA SCONFITTE Dagli «imbattibili» di Castagner al crac di Antonio Maglie E’ rinato tre volte, dalle sue ceneri come l’Araba Fenice, in due casi finendo per irrompere sui palcoscenici della serie A. Ma la «morte» del Perugia, la seconda per vie legali nel giro di cinque anni, all’alba dei suoi «secondi cento anni», stringe il cuore e offende la memoria. Una memoria fatta di volti, di immagini, di imprese grandi e di rovinose cadute. Il giorno in cui a Perugia festeggiarono il trentennale della squadra che sfiorò lo scudetto rimanendo imbattuta per tutto il campionato 1978-79, Serse Cosmi disse: «Quello era il Perugia dei miracoli, il mio era il Perugia dei miracolati. Quando abbiamo vinto al Meazza per la prima volta contro il Milan, non ho pensato a quel risultato come a un fatto storico in sé, ma perché eravamo riusciti a fare qualcosa che non avevano fatto gli Imbattuti». Gli Imbattuti, appunto. Storia e Mito. In qualche misura, Prigione della Memoria, come spesso capita alle Provinciali che si scoprono Grandi: il Cagliari «prigioniero» del Cagliari di Gigi Riva, il Vicenza «prigioniero» del Vicenza di Paolo Rossi, il Verona «prigioniero » del Verona di Osvaldo Bagnoli. E’ come se all’improvviso sulle spalle di una squadra di scaricasse l’insostenibile peso di una storia troppo bella, troppo grande; è come se il Fato si pren- desse la rivincita nei confronti di chi lo ha sfidato e battuto. Perché quel Perugia che aveva il carattere di Franco D’Attoma, un pugliese di Conversano sbarcato in Umbria per laurearsi in agraria in quella università nata agli inizi del Trecento, i baffoni e la competenza di Silvano Ramaccioni e la tranquillità di Ilario Castagner, era andato veramente contro tutte le leggi del calcio. Quella squadra aveva scompaginato i disegni del Fato. Vivacchiava in serie B, stava per fallire. Arrivò D&#to i disegni del Fato. Vivacchiava in serie B, stava per fallire. Arrivò D’;Attoma: la salvò, la portò in serie A, le regalò l’illusione dello scudetto e la certezza di un campionato irripetibile, undici vittorie e diciannove pareggi, alla fine, appena tre punti in meno del Milan Campione allenato da Nils Liedholm. Strana la storia, stravaganti i personaggi. Ramaccioni e Castagner tirarono fuori prima Frosio e il compianto Renato Curi, poi fecero arrivare in Umbria gente come Agroppi, Novellino e Bagni. Cioè gente dal grande carattere. C’era Paolo Sollier, inedito esempio di calciatore-militante, che ai padri dei ragazzi che chiedevano gli autografi, diceva: «Non rovinateli da piccoli. All’operaio Pautasso a Mirafiori mica vanno a chiedere gli autografi» . C’era, in quella squadra, il fermento del calcio, il fermento dell’Italia. Poi qualcosa si inceppò: arrivò Paolo Rossi ma l’epopea degli Imbattuti non venne replicata; soprattutto arrivò il ciclone del «calcio-scommesse». Dal trionfo al declino, l’oblio. Ma non poteva finire così. Irruppe, allora, Luciano Gaucci, l’uomo del Castello di Torre Alfina, con la statua di Tony Bin che accoglieva i visitatori. Il desiderio di ripercorrere, a tappe forza, la strada indicata da D’Attoma. Gli incidenti di percorso fra quadrupedi dati in regalo agli arbitri, improvvisi licenziamenti di allenatori, insulti sulla soglia dello spogliatoio a un collega presidente. Ma la storia si è ripetuta: la squadra presa a un passo dal fallimento, riportata in serie A. La scoperta di giocatori sconosciuti come Nakata e Miccoli, Rapaic e Grosso, Liverani e Materazzi. Persino l’ingaggio del figlio di Gheddafi, presentato in pompa magna nel cortile del Castello, quasi una scena da film in costume, fra fulmini, saette e una violenta grandinata. Poi il Fato ha di nuovo presentato il conto: il fallimento evitato nel ‘91 è arrivato cinque anni fa, attutito dal Lodo Petrucci che ha consentito alla squadra di ricominciare dalla C1. Ora l’ultimo verdetto, l’ultimo insulto all’epopea degli Imbattuti. Ma quello stadio (intitolato a Renato Curi) costruito nei giorni felici del Perugia di D’Attoma in appena tre mesi non può rimanere triste e solitario. Da un momento all’altro ci attendiamo che l’Araba Fenice si restituisca la vita annunciando la rinascita con un vorticoso sbattere di ali dal piumaggio dorato. Perché la prossima resurrezione è sempre la più bella. D’Attoma, pugliese di Conversano, seppe imprimere alla squadra grinta e carattere sino a sfiorare lo scudetto Quel gruppo esprimeva il fermento dell’Italia Poi qualcosa si inceppò arrivarono Paolo Rossi e il calcio-scommesse Corriere dello Sport
|