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Matthias Sindelar. un calciatore contro il nazismo

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view post Posted on 27/1/2010, 09:35
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Matthias Sindelar
Quel 3 aprile 1938 Vienna è imbandierata, apparentemente in festa.
Ma le bandiere che ornano tutti gli edifici pubblici, che sventolano ad una brezza fredda dai balconi delle case del centro, non sono austriache.
Con teutonica precisione quelle bandiere con la croce uncinata hanno tappezzato Vienna.
I nuovi padroni sono quelli che i nazisti austriaci definiscono i “fratelli tedeschi”, coloro che in nome del pangermanesimo hanno “liberato” l’Austria da sé stessa.
Con quell’invasione, mascherata da annessione pacifica e che passerà alla storia come “Anschluss”, è iniziata una tragedia che diverrà immane.
I tedeschi non brillano per iniziative che non siano industriali o militari, ma stavolta hanno deciso di suggellare la “riunificazione dei popoli germanici sotto la bandiera tedesca” con una partita di calcio che opporrà la Germania all’Austria.
Questa partita avrà una particolarità: sarà l’ultima volta che in campo scenderà la nazionale austriaca.
E’ tutto deciso : dopo quest’ultima partita i migliori calciatori austriaci indosseranno in blocco la divisa della nazionale tedesca, sul petto della quale spicca la svastica, e insieme ai “fratelli tedeschi” conquisteranno il titolo mondiale, a Parigi, il giugno seguente.
L’organizzazione tedesca ha previsto tutto: la Germania e l’Austria sono arrivate, rispettivamente, terza e quarta ai Mondiali di quattro anni prima, la selezione tedesca è fortissima, ma manca di esperienza e fantasia, patrimonio dei calciatori danubiani, e di un trainer esperto come l’austriaco Hugo Meisl, l’uomo che ha inventato il “Wunderteam”.
Purtroppo Meisl è morto l’anno prima, ed i tedeschi non rimpiangono quel signore elegante che, anni una volta, dopo aver presentato i migliori calciatori del Wunderteam in una gara amichevole contro la Germania, sottolineò che erano “Lauter Eschechen” , “tutti Boemi”.
Con l’inserimento dei migliori austriaci, tuttavia, la conquista della Coppa Rimet è possibile.
Per essere precisi, la macchina organizzativa del Ministero della Propaganda ha previsto “quasi” tutto.
I burocrati tedeschi non hanno per esempio tenuto conto che il più dotato calciatore austriaco di tutti i tempi, Matthias Sindelar, fosse ebreo, ma questa, pensano, è una cosa che verrà risolta.
Il Prater quel giorno è pieno all’inverosimile.
Le divise tedesche si mescolano con la fine eleganza dei viennesi; le cronache dell’epoca raccontano che addirittura 60.000 spettatori si assiepino sulle tribune dello stadio al fischio d’inizio di una partita cui parte del popolo austriaco affida le proprie speranze di mantenere un’identità nazionale.
Il “Wunderteam” non tradisce i viennesi.
Non li tradisce soprattutto Matthias Sindelar, autore di una delle sue più belle prestazioni in una carriera che ne ha conosciute di indimenticabili.
La sua classe brilla di luce purissima, abbagliando i rudi tedeschi.
L’Austria vince, contro ogni pronostico e soprattutto ogni programma, per 2-1 e Sindelar segna il gol decisivo.
Il pubblico austriaco impazzisce letteralmente sotto gli sguardi, prima severi e rabbiosi, poi solo imbarazzati dei “fratelli tedeschi”.
Alla fine della partita, i calciatori, secondo il curatissimo protocollo degli organizzatori, sono chiamati a salutare i gerarchi nazisti presenti in tribuna.
Tutti i calciatori, compresi gli austriaci più giovani e meno coinvolti, fanno il saluto nazista: solo Sindelar ed il suo fedele compagno Karl Sesta si rifiutano.
Il Wunderteam pagherà cara questa commovente prova d’orgoglio.
Benché qualificata per la fase finale dei Mondiali, cui in un primo tempo sembrava avrebbe dovuto partecipare con una squadra di secondo piano e con il nome offensivo di “Ostmark” (letteralmente “provincia orientale”), la nazionale bianca viene improvvisamente sciolta.
Ma chi era Matthias Sindelar, l’uomo che aveva prima sconfitto i tedeschi sul campo di calcio e poi li aveva sfidati pubblicamente con un gesto di forte contenuto politico ?
Difficile ricostruire la sua vicenda sportiva senza cadere nella vicenda umana e rischiare che la sua storia non lo faccia passare per un eroe romantico facendo trascurare la sua figura di campione assoluto.
Matthias Sindelar nasce a Kozlov, nella Moravia austriaca ai confini con l’odierna Slovacchia, il 10 febbraio del 1903.
La sua famiglia, ebrea, si trasferisce a Vienna, in un quartiere povero della zona industriale di Vienna.
Il padre muore nel 1917 sull’Isonzo, durante la Grande Guerra, e la famiglia vive in ristrettezze.
La madre apre una lavanderia con la quale mantiene Matthias e le tre sorelle che crescono rapidamente.
Il giovane Matthias, quando non aiuta la madre, gioca per le strade con una palla di stracci, su terreni sabbiosi strappati al degrado, fra le mura delle fabbriche di mattoni del “Favoriten”, e la sua abilità non passa a lungo inosservata.
Il suo dribbling è ubriacante, la palla viene letteralmente nascosta ai malcapitati avversari, è facile notarlo anche per il fisico filiforme ed un’innata eleganza.
Passa prima nella squadra dell’Herta, il club del quartiere, poi, a soli ventuno anni, entra a far parte del Wiener Amateure, la prestigiosa squadra che due anni dopo diverrà l’Austria Vienna.
La carriera di Matthias Sindelar decolla.
Alto, ben proporzionato, il suo viso sottile con gli zigomi alti lo fa sembrare molto più magro di quanto sia in realtà; a questi deve il suo primo soprannome, “Der papiereine” (carta velina) che gli resterà addosso per tutta la carriera, divenendo la sua “griffe”.
Il suo stile è particolare, di più, inimitabile.
Calcia con naturalezza, il suo controllo di palla, affinatosi sui terreni sassosi di “Favoriten”, non teme confronti, la sua abilità nello smarcarsi sembra farlo sgusciare attraverso le maglie delle difese più agguerrite, proprio come fosse un pezzetto di “carta velina” spinto dal vento.
La sua classe, decisamente superiore, lo porta a evitare il clima di battaglia, soprattutto perché, fin dall’inizio della avventura, Matthias, ha problemi al ginocchio destro.
La sua brillante carriera sembra destinata a concludersi prestissimo, ma il carattere è un’altra dote di questo campione.
Su consiglio di un celebre chirurgo dell’epoca si sottopone ad un intervento chirurgico al menisco dal quale si riprende con la feroce applicazione in una terapia di rieducazione che per l’epoca è una autentica novità.
Il suo nome è addirittura ancora oggi citato accanto a quello del celebre chirurgo in qualche articolo specializzato in medicina della rieducazione sportiva, come uno dei primi pazienti di quella che allora era una nuova scienza della quale si intravedevano interessanti applicazioni.
Da allora Sindelar non si toglierà più la pesante fasciatura protettiva sul ginocchio destro, destinata a diventare la sua compagna più fedele difendendo la preziosa e delicata articolazione da possibili nuovi traumi che avrebbero decretato definitivamente la fine della sua carriera agonistica.
Questa attenzione unita ad una grande applicazione nella preparazione atletica, in particolare col nuoto, gli avrebbero consentito ugualmente di calcare a lungo le scene calcistiche internazionali.
Con l’Austria Vienna, il suo club, domina il campionato e vince due volte la Coppa Europa, antenata della Coppa dei Campioni.
Un simile talento non è certo sfuggito al fiuto leggendario di Hugo Meisl, l’uomo che sta costruendo la migliore rappresentativa nazionale che l’Austria abbia mai avuto.
Con l’innesto di Sindelar nasce il “Wunderteam”, una squadra destinata a segnare un’epoca : dal maggio del 1931 all’aprile del 1933 l’Austria guidata da “cartavelina” mette in fila una serie eccezionale di risultati, numeri che ancora oggi impressionano : 16 partite, 12 vittorie 2 pareggi e 2 sconfitte, 63 reti segnate (una media di quasi quattro a partita) e solo 20 subite.
Un rullo compressore.
Naturalmente Matthias Sindelar brilla di luce propria : in queste sedici partite gli vengono attribuite ventisette segnature .
Come spesso accadeva all’epoca, la partita più gloriosa di quella grande squadra coincide con una sconfitta contro l’Inghilterra.
E’ il dicembre del 1932, l’Austria gioca a Londra contro la nazionale inglese un’amichevole il cui prestigio all’epoca è paragonabile, se non superiore, a quello di una finale mondiale.
I “maestri del calcio” non si misurano con squadre del continente e non partecipano a competizioni internazionali che non siano l’ “Home Championship”; essere invitati per una sfida è un grande onore, uscirne a testa alta è già un successo.
L’Austria ci riesce: perde per 4-3, ma, per la prima volta, fa letteralmente tremare gli inglesi che rimangono strabiliati dalle giocate di un Sindelar letteralmente incontenibile, autore di una rete che oggi sarebbe definita “alla Maradona” .
John Langenus l’arbitro belga che aveva diretto la prima finale della storia dei Mondiali e che diresse anche quell’incontro storico, racconta: - “Zischek, segnò due volte, ma il gol di Sindelar fu un autentico capolavoro, qualcosa che non era mai stato realizzato avendo gli inglesi come avversari.
Non prima di lui e neppure dopo.
Sindelar partì dalla linea di metà campo e con il suo, inimitabile, stile superò semplicemente chiunque gli si parasse davanti, alla fine fece due dribbling tornando indietro e depose la palla in rete.”
Si parla apertamente di offerte da parte dei più prestigiosi club professionistici inglesi per quello che ormai è il più famoso attaccante d’Europa, quello dotato del gioco più affascinante, l’uomo di maggior classe.
Sindelar tuttavia è una sorta di “Schonbrunn” in carne ed ossa, un monumento nazionale, non si parla neppure di una sua partenza dall’Austria nella quale è diventato un idolo e dove, dopo i durissimi anni di “Favoriten” adesso vive una vita agiata, ma tranquilla.
La sua modestia e la sua riservatezza sono leggendarie, potrebbe vivere da nababbo, invece continua ad occupare, assieme alla madre, un semplice appartamento al numero 75 di Quellenstrasse, lontano dai quartieri alti.
Nello stesso edificio continua a funzionare la lavanderia che ai tempi di “Favoriten” li ha salvati dalla fame.
Intanto la sua leggenda è alimentata da un’impresa dietro l’altra.
Segna due reti all’Italia, uno dei quali è descritto come un’autentica stregoneria :
- “Sugli sviluppi di un corner, la palla finisce all’ala sinistra Vogl il quale la passa a Gschweidl, che, colpendola di testa supera un difensore azzurro e la lancia verso Sindelar.
Sindelar, toccandola ancora di testa, la fa passare oltre un altro terzino, che poi aggira passandogli a fianco, quindi, prima che la palla tocchi terra, la colpisce nuovamente insaccandola nell’angolo della porta difesa dall’esterefatto portiere italiano.”-
Quando il Wunderteam batte per 8-2 l’Ungheria, Sindelar supera sé stesso.
Le cronache dell’epoca, infatti, riferiscono che non solo ha segnato una tripletta, ma ha anche fornito gli assist per tutte le altre segnature austriache !
Ormai è all’apice del successo, guida il “Wunderteam” attraverso l’Europa di vittoria in vittoria, la sua fama è ormai senza confini, il suo nome viene accostato alle grandi glorie dell’Austria.
Hugo Meisl lo definisce addirittura il “Mozart del football”, un onore senza paragoni.
Purtroppo per “cartavelina” la sua vicenda sportiva è destinata ad intrecciarsi tragicamente con la storia del suo Paese.
Quando il Wunderteam sembra destinato a trionfare nella prima edizione del Mondiale che si disputa in Europa (siamo nel 1934), in Austria scoppia una terribile crisi economica.
La situazione diventa rapidamente drammatica.
La speculazione internazionale mette in ginocchio il Paese: la disoccupazione raggiunge livelli che secondo alcune fonti sfiorano il 40% della forza lavoro.
Nel febbraio la crisi sfocia nella guerra civile che lascia strascichi gravissimi nel paese e prepara l’Anschluss che avverrà qualche anno dopo
Ovviamente la situazione ha pesanti ricadute anche sullo sport, soprattutto sul calcio.
Le società lottano per la sopravvivenza, Sindelar accetta una fortissima riduzione del suo stipendio pur di restare all’Austria Vienna e potersi preparare ai Mondiali.
Purtroppo la squadra austriaca che partecipa al Mondiale non è che una lontana parente del “Wunderteam”.
La Federazione austriaca, sull’orlo della bancarotta, non paga la trasferta neppure all’allenatore della nazionale, né al suo assistente ed il campionato, dopo molti rinvii, non si conclude che a ridosso della rassegna mondiale.
Ciò nonostante l’Austria arriva alle semifinali dove viene sconfitta, con onore e non senza pesanti dubbi sulla regolarità del gol azzurro, dall’Italia di Vittorio Pozzo.
Sindelar è l’incubo degli azzurri, Pozzo per lui ha un’autentica venerazione.
Gli azzurri, che in passato hanno imparato a conoscerlo, temono i suoi spunti imprevedibili.
Luisito Monti, cui viene affidato, lo ferma con le buone e con le cattive.
Infortunato, Sindelar, non può disputare la finale di consolazione che sarà vinta dalla Germania.
Matthias ha trentuno anni, è nel pieno della sua parabola sportiva, ma la situazione politica che si va determinando condizionerà pesantemente la sua vita assieme a quella di milioni di altri esseri umani.
La sua condizione di cittadino di origine ebrea, nonostante la sua fama ed il prestigio, anche internazionale, di cui gode, comincia a procurargli fastidi.
L’antisemitismo nell’Austria di quegli anni è una marea che monta inesorabile dopo la crisi .
L’intolleranza verso gli ebrei, indicati dalla attivissima minoranza filonazista come i responsabili del disastro economico, prende campo.
Colpisce parenti, amici, semplici conoscenti di Sindelar, che ne rimane profondamente impressionato.
Le camicie brune austriache preparano il terreno creando un clima intimidatorio, e soprattutto propagandando l’antisemitismo come soluzione di tutti i problemi.
La vita, tuttavia, nell’Austria del “dopo crisi economica”, sembra scorrere normale.
Si gioca a calcio.
Gioca anche la nazionale austriaca, che tuttavia, è in decadenza.
Sulla scena si affacciano nuovi campioni come Franz “Bimbo” Binder, che sembra l’erede designato di “cartavelina”, il campione attorno al quale costruire un nuovo “Wunderteam”.
Sindelar, invece, comincia a risentire degli acciacchi fisici, ma soprattutto è a disagio per la situazione difficile nella quale si trovano molti amici.
Nel 1937 muore Hugo Meisl, il maestro e mentore di “cartavelina”, colui che lo aveva battezzato “il Mozart del football”; per Matthias è un brutto colpo, un dolore che lo prostra addirittura.
Quando l’ “Anschluss” si consuma, la vita di Sindelar ha un ulteriore scossone.
L’Austria Vienna, la società cui è legato da sempre, è una squadra nella quale molti dirigenti sono di origine ebrea che immediatamente vengono rimossi dai loro incarichi e sostituiti da fedelissimi.
I giocatori, per motivi di opportunità restano al loro posto, ma Sindelar non perde occasione per mostrare il suo coraggioso dissenso.
In un’occasione, incontrando il vecchio presidente Michl Schwarz, epurato perché ebreo, lo saluta a voce alta dicendo :-“Il nuovo ‘fuhrer’ dell’Austria Vienna, ci ha proibito di salutarla, ma io vorrò sempre dirle buongiorno, signor Schwarz, ogni volta che avrò la fortuna di incontrarla.”
La sua avversione verso il nazismo suscita imbarazzo, mentre la situazione politica interna precipita e sono sempre in meno quelli disposti a difenderlo per il suo valore di calciatore prezioso alla causa tedesca.
Ai Mondiali, che si disputano quell’anno in Francia, la Germania è affidata ad un allenatore giovane, Sepp Herberger, che conquisterà il Mondiale nel 1954.
Herberger è un tecnico serio e preparato, non un nazista fanatico, conosce il valore di Sindelar e sa quanto sarebbe importante poter contare su di lui come guida della sua squadra.
Matthias, tuttavia, si rifiuta di giocare, il giovane tecnico cerca inutilmente di convincerlo.
Per evitare guai, Sindelar, prima dice di sentire dolore al ginocchio infortunato ed operato anni prima, poi, imparando a conoscere il suo interlocutore chiede, educatamente, di essere lasciato fuori, di non indossare quella maglia che non è la sua.
”Mi accorsi”- racconterà anni dopo Herberger- “che c’erano altri motivi per cui non voleva giocare, ed io decisi di lasciarlo in pace, anche se sapevo che era ancora il più forte.”
Il forfait di Sindelar viene ufficializzato e d’improvviso gli viene a mancare quello schermo protettivo che fino a quel punto gli era stato garantito dalla sua fama di campione.
Altri calciatori di origine ebrea, come Camillo Jerusalem e Karl Zischek, più giovani di Sindelar, accettano di giocare con la maglia tedesca, ma quando, dopo l’imprevista eliminazione per mano della Svizzera, le cose si mettono male emigrano all’estero.
Intanto attorno a Sindelar si è creato il vuoto.
La brusca fine della carriera internazionale, ma soprattutto la preoccupazione per la sorte dei suoi cari lo fa cadere in uno stato di depressione.
Il 26 dicembre 1938, a Berlino, gioca la sua ultima partita: un incontro amichevole fra l’Austria Wien e l’Herta Berlino.
Segna anche un gol, l’ultimo.
Quando muore, meno di un mese dopo, il 23 gennaio 1939, non ha ancora compiuto i 36 anni.
Viene trovato morto, nel suo letto.
Accanto a lui una giovane ebrea italiana, Camilla Castagnola, che ha incontrato qualche giorno prima, che morirà dopo pochi giorni di coma senza poter dare utili spiegazioni.
La spiegazione ufficiale è “avvelenamento da monossido di carbonio”.
Un incidente dovuto ad una stufa difettosa.
La Polizia austriaca, di solito meticolosa, mostra un’insolita fretta nell’archiviare il caso.
Attorno a questa morte misteriosa nascono le più svariate ipotesi.
C’è chi parla di suicidio dei due amanti, chi ipotizza che la ragazza fosse un esponente dell’Agenzia ebraica che aveva il compito di arruolare Sindelar in una organizzazione che avrebbe dovuto favorire l’espatrio degli ebrei austriaci e pensa ad un omicidio brillantemente organizzato dalla Gestapo.
Dopo la guerra il rapporto sulla sua morte non si trova più.
Svanito.
La sua morte, misteriosa, contribuisce così a proiettarlo nel mito.
I tedeschi hanno fretta di chiudere il caso, preferirebbero esequie in forma privata, quasi clandestine.
Invece la sede dell’Austria Vienna è tempestata di telegrammi da tutta l’Europa: alla fine se ne conteranno oltre 15.000 ed il suo funerale sarà seguito da non meno di 40.000 austriaci pronti a sfidare i divieti, più o meno palesi, dei nazisti.
Matthias Sindelar, “il Mozart del football”, “cartavelina” fa il suo ingresso nella leggenda, diventa un eroe popolare, per diventare poi, alla fine della guerra, anche un eroe nazionale.
Quando l’Austria riacquista la propria sovranità nazionale la stella del “Wunderteam” viene sepolta nel “Cimitero centrale di Vienna” in un mausoleo messo a disposizione della famiglia dall’autorità cittadina.
Da allora, il 23 gennaio di ogni anno, una data che cade a pochi giorni dal “Giorno della Memoria”, la giornata dedicata alla commemorazione della Shoa, sulla tomba di Matthias Sindelar si tiene una semplice cerimonia cui partecipano i dirigenti della Federazione Austriaca, dell’Austria Vienna, ed i sempre meno numerosi compagni di squadra dei tempi del “Wunderteam”.
Alla fine viene deposta sulla lapide una corona di alloro e dei fiori bianchi e viola, i colori del “Wiener Amateure” , diventato poi Austria Vienna.
Fra coloro che non mancavano mai alla cerimonia c’era il Dr Schwarz, il vecchio presidente del club viennese.
Schwarz, epurato perché ebreo e scampato ai lager nazisti, non aveva mai dimenticato che Matthias Sindelar un giorno l’aveva salutato facendogli capire che c’era ancora una speranza.

“Dicono che la sua modestia fosse altrettanto leggendaria della sua abilità.
Patrimonio dei Grandi.”

[Ràul Woscoff – Centro Raoul Wallemberg ]

"Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva piatto, sottile, trasparente, come se – scusate la frase alpina un po’ irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato. A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l’artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito con l’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Monti odiava tutti i danubiani, li metteva in un mucchio solo, ma chi aveva particolarmente in uggia era Sindelar: vedeva rosso, e contro di lui e contro le danze a base di finte che gli faceva davanti e le continue richieste di penalty, aveva una paura matta di perdere le staffe”
[Vittorio Pozzo]


www.austria.org/oldsite/apr98.
www.wizo-osfa.org.ar/prueba/informes/sindelar.htm
www.maniacalcio.com
www.postadelgufo.it

Matthias Sindelar: l'antihitleriano di cartavelina
Autore: Ronci Alfredo
"Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva piatto, sottile, trasparente, come se – scusate la frase alpina un po’ irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato. A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l’artista della finta. Alla mancanza di fisico sopperiva subito con l’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Monti odiava tutti i danubiani, li metteva in un mucchio solo, ma chi aveva particolarmente in uggia era Sindelar: vedeva rosso, e contro di lui e contro le danze a base di finte che gli faceva davanti e le continue richieste di penalty, aveva una paura matta di perdere le staffe” (dal sito www.maniacalcio.com).
Eccoli, finalmente, i mondiali di calcio: e i calciatori splendidi nel loro lucore anabolizzato, nell’ufficialità dell’appuntamento planetario. E che vede, ancora una volta, l’improba fatica del “sottoproletariato” calcistico (di solito africano) scontrarsi con le superpotenze occidentali. Hai voglia a tifare per il capitano Yorke di Trinidad Tobago o per Didier Zokora della Costa d’Avorio o per il cannoniere Mohamed Kader del Togo: non ce n’è, nei quarti in genere le squadre “colorate”si sciolgono come neve al sole. Si parla di mancanza di resistenza, di poca tecnica, d’improvvisazione, d’ingenuità: tant’è, nelle semifinali, tranne il Brasile e l’Argentina, il resto è sempre pura razza ariana.
Ma l’essere ariani non è solo una condizione “genetica”e sportiva, ma anche un aplomb consolidato: basti riconsiderare le dichiarazioni, di qualche giorno fa, del bel Cannavaro, in occasione delle indagini sugli scandali che stanno devastando il nostro calcio, per capire che l’arroganza, la presunzione e la violenza (non sono queste proprietà dell’essere ariano?) sono strumenti di un sistema speculare al potere e al potere calcistico.
Intendiamoci, lungi da me l’equazione sordida e apparentemente scontata, qui e subito, dello sport e del calcio dunque, come masseria di nazionalismi e odii, di razzismi e di abusi. Si celiava sul termine ariano perché oggettivamente le forze in campo nel mondo, soprattutto del pallone, producono risultati (quando leciti) comunque in un’unica direzione. E quindi l’ariano come ironica estensione del significato del concetto di supremazia.
Non tanto ironica semmai la predisposizione, e qui il talento indigeno produce frutti olimpici, alla villania dello strapotere (di nuovo Cannavaro e similia)
Dunque: in questo bailamme di giustizialismo “sacrosantista” e di forche caudine, dove il calcio ruba le prime dei giornali e strazia il cuore degli appassionati credenti, ci piace rimarcare, noi che paura non abbiamo, il profilo di un gentiluomo del calcio, austriaco di nascita, che, pur di non tirare palloni nella compagine tedesca hitleriana dopo l’annessione dell’Austria, preferì farsi isolare e probabilmente farsi “suicidare”.
Ma andiamo con ordine: sintetizziamo gli eventi che stanno dietro questa storia di principio, di coraggio e di coerenza politica.
1933 – Hitler al potere
1934 (luglio) – I nazionalsocialisti austriaci (appoggiati da Hitler) uccidono il cancelliere austriaco Dolfuss (molto amico di Mussolini). Secondo il Duce “Hitler è colpevole, è responsabile di questi avvenimenti”. (1)
1936 (giugno) Mussolini, dopo un accordo che “garantisce” sì l’indipendenza austriaca ma “invita” lo stato ad improntare la propria politica estera sulla base di quella tedesca, dichiara che l’Austria è in primo luogo uno stato tedesco.
1938 (9 marzo) Il primo ministro austriaco Schuschnigg in un discorso a Innsbruck annuncia per domenica 13 marzo un plebiscito. Al popolo austriaco sarebbe stato chiesto un voto favorevole per “un’Austria libera, indipendente,sociale e cristiana”.
1938 (10 marzo) Da Berlino un “niet” al plebiscito austriaco.
1938 (13 marzo) La Germania di Hitler assume pieni poteri in Austria. E’ la riunificazione (Anschluss). Mussolini e l’intera Europa tacciono. Era l’ultima occasione che i vecchi alleati, la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia, aiutati dalla Cecoslovacchia, in possesso di un esercito bene armato, avevano di muoversi per fermare Hitler.(2)
Il 3 aprile del 1938 Vienna è imbandierata, apparentemente in festa. In realtà per la città sventolano le croci uncinate del regime nazista. Ma serpeggia una tensione non assopita: al Prater, lo storico campo di calcio della capitale, sta per svolgersi un incontro dai mille significati politici, Austria contro Germania. Questa partita ha una particolarità: è l’ultima volta che scende sul terreno la nazionale austriaca. E’ già stato tutto deciso: i nazisti, consapevoli dell’importanza, a livello popolare, di uno sport come il calcio e consci della loro “debolezza” tecnica, hanno previsto di inglobare nei ranghi tedeschi i migliori talenti del calcio danubiano, patrimonio esclusivo di un trainer come Hugo Meisl (a quel tempo però già deceduto da circa un anno), l’uomo che inventò il “Wunderteam” (la compagine dei sogni).
Gli spalti, come direbbero i commentatori sportivi, sono gremiti di 60.000 spettatori:la speranza è quella di affidare ai giocatori austriaci le sorti di una mai assopita identità nazionale.
La partita finisce 2 a 1 per l’Austria: il gol della vittoria è messo a segno dall’idolo delle folle, Matthias Sindelar, detto “der papiereine” (cartavelina), calciatore dall’immensa classe, magro e sottile, ma terrore delle difese avversarie. Al termine dell’incontro, secondo un curatissimo protocollo degli organizzatori, i calciatori sono chiamati a salutare i gerarchi nazisti presenti in tribuna. Tutti, compresi gli austriaci più giovani, fanno il saluto: solo Sindelar e il suo fedele compagno Karl Sesta si rifiutano. Il Wunderteam pagherà cara questa commovente prova d’orgoglio perché poco tempo dopo verrà ufficialmente sciolto.
Matthias Sindelar nasce a Kozlov, nella Moravia austriaca, il 10 febbraio del 1903, da una famiglia ebrea. Il padre muore nel 1917 sull’Isonzo. La madre, per mantenere 4 figli, apre una lavanderia a Vienna.
Talento naturale, in pochi anni, pur avendo un grosso problema al ginocchio che lo segnerà per tutta la carriera, arriverà alla nazionale. Ai mondiali purtroppo, per motivazioni ogni volta diverse, non riuscirà mai a dare un contributo determinante.
Nel 1934, ai campionati che si svolgono in Italia e per la prima volta in Europa, la compagine austriaca, tra le favorite d’obbligo, non riesce a dare il meglio a causa di una crisi economica che investe prima il paese e poi, di conseguenza, la struttura stessa del calcio austriaco. La federazione, sull’orlo della bancarotta, non paga la trasferta nemmeno all’allenatore della nazionale. Siamo poi già alla vigilia delle pressioni tedesche e dell’omicidio del cancelliere Dolfuss che anticiperanno i diktat tedeschi degli anni a venire fino all’Anschluss.
Ciò nonostante l’Austria arriva alle semifinali dove viene sconfitta, con onore e non senza pesanti dubbi sulla regolarità del gol azzurro (!), dall’Italia di Vittorio Pozzo.
Ai mondiali di Parigi del 1938 la situazione è completamente diversa: I mondiali probabilmente disillusero alcuni tifosi austriaci riguardo all’Anschluss. Il loro Wunderteam aveva ormai perso, e la sconfitta di Parigi nascondeva un’ovvia morale circa le difficoltà presentate dalla fusione di due paesi. I giocatori tedeschi e austriaci non erano riusciti a legare e a costruire azioni coordinate: i tedeschi consideravano gli austriaci arroganti, in parte perché gli austriaci erano riusciti ad ottenere un trattamento da professionisti mentre i tedeschi erano rimasti dilettanti. (Dopo, con molto dispiacere, gli austriaci vennero nuovamente retrocessi a dilettanti perché i nazisti consideravano il calcio professionistico una continuazione ebraica dello sport). (3)
La marea antisemita è già montata, ma accanto a questo terribile problema una sorta di umanissimo orgoglio e di limpidissima coerenza politica inducono Matthias Sindelar a rifiutare di giocare i mondiali di Parigi. La compagine tedesca di quel tempo era guidata da un allenatore giovane, Sepp Herberger, che guiderà la squadra al successo nella coppa Rimet nel 1954: tecnico serio, per niente fanatico, poco filonazista, conosce il valore di Sindelar e per questo tenterà fino alla fine di convincerlo.
Per evitare guai, Sindelar, prima dice di sentire dolore al ginocchio infortunato ed operato anni prima, poi, imparando a conoscere il suo interlocutore chiede, educatamente, di essere lasciato fuori, di non indossare quella maglia che non è sua. “Mi accorsi” – racconterà anni dopo Herberger – “che c’erano altri motivi per cui non voleva giocare, ed io decisi di lasciarlo in pace, anche se sapevo che era ancora il più forte”. (4)
La decisione di Sindelar appare ancora di più limpida e coraggiosa se confrontata con altre carriere sportive di tutto rispetto. Le invasioni della Germania, al di là delle considerazioni politiche, s’erano dimostrate un metodo di tutto rispetto per racimolare giocatori di buon livello in tutta Europa: primo fra tutti Ernst Willimowski, ancora oggi considerato il miglior calciatore polacco di tutti i tempi.
Dopo che la Polonia fu invasa, si autoproclamò tedesco (la sua famiglia era in parte tedesca e lui parlava perfettamente la lingua). Si sottopose persino all’abituale rito di iniziazione praticato dagli atleti del Reich: gli calarono i calzoni e tutta la squadra lo picchiò sul sedere, un rituale che i calciatori tedeschi chiamavano “lo Spirito Santo”. (3)
Il rifiuto invece di Sindelar di giocare i mondiali di Parigi segnò la sua fine: da quel momento gli viene a mancare anche lo schermo protettivo che gli era stato garantito dalla sua condizione di fuoriclasse sportivo.
Il 26 dicembre 1938, a Berlino, gioca la sua ultima partita, un incontro amichevole fra Austria Wien e Herta Berlino. Segna anche un gol.
Poco meno di un mese dopo, esattamente il 23 gennaio del 1939, viene trovato morto nel suo letto accanto ad una donna italiana, Camilla Castagnola.
La spiegazione ufficiale è “avvelenamento da monossido di carbonio”. Una stufa malfunzionante avrebbe provocato una fuga di fumo.
L’indagine, pur se coinvolgeva un nome di altissimo richiamo (il funerale sarà seguito da non meno di 40.000 austriaci pronti a sfidare i vari divieti imposti dai nazisti), fu archiviata quasi subito. E il rapporto su questa strana morte svanì nel nulla e non si trovò più.
Si fecero varie ipotesi: il suicidio, primo fra tutti, perché Sindelar era ormai “isolato” e malvisto (ma a questo punto non si spiega il bagno di folla alle esequie, non si spiega la presenza della ragazza italiana, non compagna abituale, ma una semplice conoscenza di pochi giorni prima o addirittura non si spiega l’assenza di puzza di fumo nell’appartamento in cui furono ritrovati i corpi).
Si parlò di un omicidio organizzato dalla Gestapo venuta a conoscenza di un’Agenzia ebraica che aveva il compito di arruolare Sindelar in un’organizzazione che avrebbe dovuto favorire l’espatrio degli ebrei austriaci.
L’episodio, nonostante le evidenti omissioni e le fantasie “montate ad arte” è servito a costruire un mito:da allora, il 23 gennaio, data che cade a pochi giorni dalla “giornata della memoria” dedicata alla commemorazione della Shoa, sulla tomba di Matthias Sindelar, nel Cimitero Centrale di Vienna, si tiene una semplice cerimonia cui partecipano i dirigenti della Federazione austriaca di calcio e i sempre meno compagni di squadra del tempi del Wunderteam. Alla fine viene deposta una corona d’alloro e di fiori bianchi e viola, i colori dell’Austria Vienna.
Matthias Sindelar, l’uomo cartavelina, il “Mozart del football” come lo definì il grande allenatore Hugo Meisl, l’uomo che disse no a Hitler e ai nazisti. Il calciatore che, in questi tempi di scandali e parole gettate al vento, costituisce ancora una speranza.

(1) Jens Petersen – Hitler e Mussolini la difficile alleanza – Edizioni Laterza 1975
(2) William L. Shirer – Gli anni dell’incubo 1930-1940 – Le Scie Mondatori 1986
(3) Simon Kuper – Ajax, la squadra del ghetto – ISBN Edizioni 2006
(4) www.postadelgufo.it/campioni/sindelar.html

La Ballata di “Cartavelina”
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Ci sono sessantamila spettatori al Prater di Vienna per salutare l'ultima partita della nazionale austriaca. E' il 3 aprile 1938, e in tutta l'Austria si festeggia l'Anschluss, l'annessione alla Germania nazista. Nello stadio e nei quartieri della capitale risuona il passo dell'oca delle Camicie brune. All'Austria è stato concesso l'onore di salutare il suo pubblico un ultima volta. Ma tutti erano lì non per vedere la nazionale, ma per vedere un solo uomo, il più piccolo di tutti, che non a caso chiamavano “der Papieren”, Cartavelina. L'unico dei ventidue che non rivolse il suo saluto verso gli spalti, dove campeggiavano i gerarchi del Reich nelle uniformi scintillanti. Fu acclamato da eroe, e non smentì il destino degli eroi: morì, in circostanze ancora oggi poco chiare, fu santificato e dimenticato. Quell'eroe è Mathias Sindelar, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi. E questa è la storia di una vittima della Ragion di Stato che è morto per un'idea, per non piegarsi al potere, e di morte lenta.

L'Anschluss
All'inizio del 1938 Hitler aveva ormai consolidato il suo potere in Germania e per completare l'espansione del Reich, da lungo programmata, il 12 febbraio incontrò il Cancelliere Austriaco Kurt Schuschnigg a Berchtesgaden, in Baviera chiedendo che eliminasse il veto ai partiti politici e liberasse tutti i detenuti nazisti coinvolgendoli nell'azione di governo: pena l'invasione militare. Schuschnigg accettò e chiamò Arthur Seyss-Inquart, un avvocato pro-nazisti, come ministro dell'Interno.
Ma nelle settimane successive iniziò a realizzare come Seyss-Inquart stesse tramando per destabilizzarlo e tentò di infiammare il patriottismo della popolazione. Per la prima volta comunisti e socialisti poterono mostrarsi in pubblico insieme e il 9 marzo, come extrema ratio, programmò un plebiscito per decidere se approvare o meno l'annessione al Reich. Per assicurarsi una larga maggioranza impose alzò l'età minima per votare a 24 anni, così da escludere i giovani, in larga parte con simpatie filo-naziste. Ma la scommessa, vinta alle urne, venne ovviamente persa. La Germania annunciò che i risultati erano condizionati da pesanti brogli e che non sarebbero stati accettati; in più il ministro della Propaganda di Hitler annunciò lo scoppio di rivolte in Austria e sostenendo che una gran parte della popolazione austriaca avesse chiesto l'intervento delle truppe del Reich. Hitler inviò un ultimatum a Schuschnigg che scadeva a mezzanotte dell'11: o il potere passa interamente ai nazisti, o il Paese sarà invaso. L'ultimatum fu prorogato di due ore, anche se l'invasione era già stata programmata per l'una. Seyss-Inquart, non senza qualche problema, venne finalmente eletto Cancelliere. Hitler superò il confine a Branau, la sua città natale, mentre le truppe dell'Ottava Armata della Wermacht entrò in Austria incontrando solo bandiere e acclamazioni in quella che divenne nota come il Blumenkrieg, la guerra dei fiori.
Hitler tornò di nuovo in Austria, il 2 aprile, quando 200 mila persone lo accolsero trionfalmente a Heldenplatz, la piazza degli eroi, per ascoltare il Reich proclamare l'Anschluss, l'evento che Le Figaro presentò come “il più grave verificatosi dalla fine della prima guerra mondiale”. Il giorno dopo ci sarebbe stato l'incontro di calcio tra l'Hertha e l'Austria per celebrare l'evento. Un evento che Sindelar rese, a modo suo, indimenticabile.

Mathias Sindelar
C'è sempre un quartiere povero nella storia e nel destino dei grandi campioni dello sport, e del calcio in particolare, come se la “fame”, reale e metaforica, costituisca un'arma in più. Perché solo chi ha sofferto davvero è realmente disposto a tutto per arrivare e mettere a frutto l'unico talento che possiede per uscire dalla miseria.

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Eusebio, la pantera nera, ha iniziato nelle stradine polverose di Lourenco Marques, nel Mozambico, Maradona a Fiorito, Buenos Aires, Romario a Jacarecinho, Rio de Janeiro. Mathias Sindelar, der Papieren, il Mozart del calcio, che ha “giocato il gioco del calcio come nessun altro”, come scrisse Friedrich Torberg nella “Ballata sulla morte di un calciatore” ha iniziato alla periferia di Vienna. Ma Sindelar non è nato in Austria, ma in Moravia, a Jihlava, il 10 febbraio 1903, da famiglia di origine ebraica. E anche questo peserà nel destino finale di Cartavelina. Il padre era muratore e si trasferì nella capitale austriaca, dove cresceva con dignità Sindelar, che da ragazzo lavorava come apprendista meccanico, e le sue tre sorelle.
Il padre morirà in guerra, sull'Isonzo, e Matthias passa l'adolescenza aiutando la madre e le sorelle nella loro lavanderia, ma il centro dei suoi pensieri è solo uno: quella palla di stracci che viene tenuta fuori dalla porta del negozio. E Matthias, longilineo, leggero, con la palla ci sa fare eccome. In strada sfoggia una successione di dribbling, giocate, stop e passaggi che attira l'attenzione dell'Hertha, una squadra professionistica della capitale, che lo recluta per la formazione giovanile nel 1918, ma lo fa esordire in prima squadra già nel 1922. Sui palcoscenici del calcio che conta, le sue qualità spiccano e nel 1924 il Wiener Amateur, che in seguito diventerà l'Fk Austria Vienna, ne fa la sua bandiera, il suo simbolo, il suo idolo. Con i viola, “Mozart”, il “Violinista” giocherà fino all'ultimo, vincendo un titolo, sei coppe nazionali e due Mitropa Cup, allora il principale trofeo continentale per club.
“Cartavelina” è stato un attaccante di eleganza estrema, di genio e talento senza pari. Un autentico fuoriclasse che ha incantato anche in nazionale, in quella che negli Anni Trenta era la nazionale più forte del mondo. Erano anni in cui la scuola calcistica Mittleuropea rappresentava la scuola, l'esempio per tutti; l'unica squadra all'altezza del Wunderteam, la squadra delle meraviglie austriaca, allenata dal grande tecnico Hugo Meisl, era l'Ungheria. C'era stato anche uno scontro diretto tra le due nazionali che un tempo erano riunite sotto l'insegna dello stesso impero, a Vienna, nel 1932. Finì 8-2 per l'Austria, con tre reti di Sindelar che servì anche cinque assist.
Con lui in campo l'Austria vince 28 partite su 31 fino al 1934, l'anno in cui il Wunderteam partecipa per la prima volta ai Campionati del Mondo. La sua fama supera anche i confini dei “calcio-fobici” Stati Uniti e Sindelar inizia a guadagnare parecchio, diventando testimonial pubblicitario per vestiti di sartoria e macchine di lusso, spendendo però la maggior parte dei soldi in donne e scommesse.
“Era il padrone della palla, l’artista della finta”, disse di lui Vittorio Pozzo, il ct due volte campione del Mondo. “Alla mancanza di fisico sopperiva con l’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea”.
Non bastò, però, la sua presenza in campo per battere gli azzurri nella semifinale della Coppa del Mondo 1934. A Milano, il 3 giugno, la squadra di Hugo Meisl e di Cartavelina viene sconfitta per 1-0. Sindelar deve uscire prima che cali il sipario, però, messo al tappeto dai tacchetti di Monzeglio. Il gol partita è di Enrique Guaita: l'azione sembra viziata da un precedente fallo di Giuseppe Meazza sul portiere Peter Platzer non sanzionato dall'arbitro, lo svedese Ivan Eklind che, caso unico nella storia della Coppa del Mondo, dirige anche la finale tra Italia e Cecoslovacchia. Si è detto che, prima dei due incontri decisivi, Eklind abbia incontrato Mussolini.
Che corrisponda o meno a verità, la direzione dello svedese è pesantemente criticata e bollata come eccessivamente casalinga. Curiosamente, poi, lo svedese dirigerà anche Italia-Francia nel Mondiale del 1938, con lo stesso guardalinee della semifinale milanese, il belga Louis Baert: in quella gara l'Italia indosserà la maglia nera in onore del Duce.
Nel giorno del trionfo azzurro di Roma, Sindelar è in un letto d'ospedale, a Milano: qui incontra il suo destino, Camilla Castignola, una ragazza italiana che insegna letteratura tedesca. Sindelar se ne innamora e decide di portarla a Vienna.

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Le conseguenze dell'Anschluss
Tra le prime misure prese dal nuovo governo Nazional-socialista in Austria dopo l'annessione al Reich del 1938, figura lo smantellamento della Federcalcio, tra le più antiche del mondo. In quella che sarebbe diventata l'Ostmark, una semplice provincia nell'impero del Fuhrer, i giocatori ebrei vennero licenziati dalle squadre, gli allenatori ebrei esonerati, le formazioni e i club di ascendenza giudaica messi fuori legge e i loro impianti confiscati.
Anche molti dei dirigenti, degli allenatori e dei giocatori del FK Austria Vienna furono allontanati per il solo fatto di essere, o sospettati di essere, ebrei. Tra questi lo storico presidente Michl Schwartz. Ai “sopravvissuti” venne espressamente ordinato di non rivolgere la parola ai colleghi che erano stati cacciati. Ma Sindelar non si piegò. Franz Schwartz, nipote del glorioso presidente “epurato”, lo ricorda come un perfetto viennese, nei modi, negli atteggiamenti, nel modo di parlare.
E come la sua Vienna, vive di ombre, sussurri e segreti.

La partita d'addio
Segreti come le sue reali intenzioni nella sua partita “d'addio”, la sfida contro la nazionale tedesca che avrebbe dovuto celebrare l'Anschluss. Un match che sarebbe dovuto finire con un pareggio con gol, almeno questo era il desiderio (o meglio l'ordine) del Fuhrer e degli ufficiali del Reich. Sindelar ha chiesto, e ottenuto, che per l'ultima partita la nazionale austriaca potesse scendere in campo con la tradizionale casacca bianco-rossa.
Quanto è esattamente accaduto durante la partita si mescola oggigiorno con la leggenda, con i miti che poi sono fioriti a partire da quel giorno sull'eroismo di Cartavelina e di tutta la squadra. Per tutto il primo tempo Sindelar crea chiare occasioni da gol, ma finisce sempre per mancare la porta di pochi centimetri. Tanto che molti pensano, e molti giornali diranno il giorno dopo, che stesse sbagliando apposta, che in un certo senso quello era il suo modo per prendersi gioco dei tedeschi, oppure che gli fosse stato ordinato di non segnare. Per quanto difficilmente plausibile possa sembrare, questa teoria ha riscosso particolare successo nei giorni e negli anni a venire.
L'incontro rimane in equilibrio fino al 62', quando proprio Sindelar sblocca il risultato con un preciso destro. Lo stadio esplode, tutti sono perfettamente consapevoli che il valore della partita va al di là del dato sportivo. Al 71', poi, Karl Sesta da 40 metri disegna un cross apparentemente innocuo che si trasforma in una conclusione letale che vale il definitivo 2-0 per l'Austria. E Sindelar celebra il trionfo con una danza di gioia proprio di fronte ai massimi dignitari del Reich. A fine gara il protocollo prevede che i giocatori salutino le autorità a braccio teso. Lo fanno tutti, tranne gli autori dei due gol, che restano sull'attenti, con le braccia rigidamente lungo i fianchi, davanti agli sguardi irritati delle autorità.
Più volte, dopo quella partita, a Sindelar, è stato chiesto di giocare per la Germania, ma Cartavelina, di dichiarate simpatie social-democratiche, ha sempre rifiutato e ha assistito dalle tribune alla sconfitta tedesca ai Mondiali del 1938. Ancora non lo sapeva, ma gli restavano sette mesi di vita.

La fine di un campione
L'ultimo anno del Mozart del calcio è quantomeno bizzarro. Lascia il calcio giocato e acquista un bar, nel quartiere di Favoriten, da Leopold Drill, un suo amico ebreo, vittima di uno dei tanti espropri legalizzati nel Nuovo Ordine imposto dal Fuhrer nell'ormai divenuta Ostmark, per 20 mila marchi, più di quanti ne avessero offerti i burocrati del regime. Un'iniziativa che secondo alcuni critici, però, andrebbe letta in un altro modo: il campione, che a quanto si dice ha completato la transazione pagando in contanti, non avrebbe fatto altro che opportunisticamente approfittare della situazione per comprare il locale per una frazione del suo valore reale.
Così, a trent'anni, un atleta che avrebbe potuto essere ancora tra i più ammirati e ricercati d'Europa, si mette a servire birre e caffè ai compagni di un tempo. La Gestapo sorveglia il locale, e nota come Sindelar si mostri amichevole con tutta la clientela, che è per metà ebraica, riportano gli ufficiali, che definiscono Cartavelina “non in sintonia” con il partito.
Ma il 23 gennaio 1939 Sindelar non va al bar. Un amico, Gustav Hartmann, lo va a cercare nell'appartamento di Annagasse. Lo trova nudo, steso sul pavimento, morto. Accanto a lui Camilla Castignola, ancora viva. Morirà qualche ora dopo, come il fidanzato campione, per asfissia da monossido di carbonio provocata da una stufa difettosa. La canna fumaria era ostruita, e si diede subito la colpa alla poca manutenzione. Ma in pochi credettero alla versione ufficiale, scritta sul rapporto di polizia che, però, secondo l'archivio nazionale austriaco sarebbe stato smarrito o distrutto in guerra. Il 25 gennaio un articolo sul quotidiano austriaco Kronen Zeitung sosteneva che “tutti i segnali puntano verso la conclusione che questo grande uomo sia stato vittima di un delitto per avvelenamento”.
Una teoria che ha trovato diversi sostenitori, quella dell'omicidio, che hanno via via identificato come colpevoli: un assassino su commissione, a causa di supposti debiti di gioco di Sindelar; Camilla, che poi si sarebbe suicidata per il senso di colpa; la Gestapo, che avrebbe ucciso Cartavelina per prevenire la possibilità che il giocatore mettesse in imbarazzo il Reich volando all'estero.
Ma c'è anche chi ha sostenuto e sostiene la tesi del suicidio: un gesto di disperazione contro il destino della patria, un gesto simbolico come massima espressione romantica della libertà individuale, la forma estrema di rivendicazione dell'indipendenza di pensiero contro la gerarchia nazista.
A settant'anni di distanza le domande restano senza risposta. Rimane solo la confessione di Egon Ulbrich, grande amico di
Sindelar, che ha rivelato alla BBC, qualche anno fa, di aver convinto i poliziotti a “truccare” il referto, eliminando qualunque riferimento alla sfera criminale e soprattutto al suicidio, in modo che Sindelar potesse avere un funerale di Stato.

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La spiegazione più poetica della morte di Sindelar l'ha però fornita Alfred Polgar, nel necrologio che ha dedicato al grande campione. “Sindelar ha seguito la città, di cui era il figlio prediletto e l'orgoglio. Era così inestricabilmente legato a Vienna da morire quando lei è morta. Perché vivere e giocare a calcio nella città tormentata, distrutta, oppressa avrebbe significato tradire Vienna con uno spettro repellente di se stesso. Ma come si può giocare a calcio in quelle condizioni? E come si può continuare a vivere, quando la vita senza il calcio è niente?”.
 
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view post Posted on 7/10/2010, 20:30
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bellissimo topic, complimenti a chi l'ha aperto.. scusate, non c'entro niente qua, non so nemmeno su che forum sono capitato, ho trovato questa pagina per caso cercando un'altra cosa..

un saluto a tutti, comunque! ;)
 
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anzianoclay
view post Posted on 8/10/2010, 07:39




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view post Posted on 8/10/2010, 09:31
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grazie
 
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view post Posted on 10/10/2010, 03:06
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CITAZIONE (anzianoclay @ 8/10/2010, 08:39)
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non saprei che fare su un forum dell'Empoli! tra l'altro sono fiorentino :) (ma non ho nulla contro l'Empoli, sia chiaro!)
 
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view post Posted on 10/10/2010, 10:01
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CITAZIONE (Sindelar @ 10/10/2010, 04:06)
CITAZIONE (anzianoclay @ 8/10/2010, 08:39)
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non saprei che fare su un forum dell'Empoli! tra l'altro sono fiorentino :) (ma non ho nulla contro l'Empoli, sia chiaro!)

vabbè, tu pensa che qua sopra c'è anche chi tifa varese, quindi :)

si parla un po' di calcio, anche extra-empoli.
 
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5 replies since 27/1/2010, 09:12   847 views
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