Il Forum dei Tifosi dell'Empoli F.C.

I debiti/conti della Serie A e del calcio in genere...

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Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

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ESPN Global Sport Salary Survey Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

Sul sito www.sportintellingence.com è disponibile la sintesi dell’ultima Global Sports Salaries Survey, che viene  pubblicata con cadenza annuale e si basa sull’analisi di un totale di 278 squadre, appartenenti a 14 Federazioni, operanti in 10 nazioni ed in 7 sport.

Dalla tabella generale (che può essere consultata qui) abbiamo selezionato solo il mondo del calcio e, in particolare, le Federazioni europee: si tratta di Inghilterra, Spagna, Germania, Italia e Scozia.

Di queste, 22 rientrano fra le prime 100 squadre in termini di salari totali.

EU Football Salaries 2011 first 100 Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

                                    Fonte: rielaborazione su dati SportIntelligence 

Nell’ambito delle squadre emerge il predominio delle due spagnole, Barcellona e Real Madrid, nonostante il Manchester City abbia scalato parecchie posizioni negli ultimi anni, superando anche il Bayer Munich e Chelsea.

EU Football Salaries 2011 graph differences Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

Se non si tenesse conto del Manchester City (che ha adottato una politica estremamente onerosa negli ultimi anni) la differenza del monte ingaggi del Barcellona rispetto a Bayern Munich e Chelsea è pari a 47 milioni di USD, cioè circa il 30% in più del loro attuale budget.

Questa differente capacità di spesa è spiegabile, sostanzialmente, con due argomenti:

  • la ripartizione dei diritti TV in Spagna è ancora a livello individuale e questo consente a Barcellona e Real Madrid di intercettare, da sole, circa il 38% dei diritti TV, con circa 100 milioni di Euro di differenza fra ciascuna di loro e le squadre in terza e quarta posizione;
  • nel caso specifico del Barcellona (che ha comunque un monte ingaggi di circa 22 milioni di dollari superiore a quello del Real Madrid) occorre considerare l’importanza della “Cantera” (cioè del settore giovanile), che da sempre è un bacino dal quale la squadra attinge e che consente di dirottare una quota del budget che normalmente sarebbe destinato al calciomercato, potendo quindi offrire stipendi decisamente più competitivi ai giocatori.

Nell’analizzare il costi del personale, può essere interessante osservare anche il versante degli investimenti, ovverosia il calciomercato. I due grafici che seguono ci riportano l’andamento del calciomercato dal 2005/2006 ad oggi sia in maniera puntuale (cioè sessione per sessione), sia come media mobile.

Calciomercato Big 5 UEFA annuale Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

  Calciomercato Big 5 UEFA media mobile Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

La tendenza, dopo un picco di spesa nel 2006/2007 dovuto in particolare alla Premier League (che ha quasi raggiunto i 900 milioni di Euro di investimento) sembra essere quella di una progressiva riduzione del saldo netto di calciomercato che pare essere destinatario di minori risorse. La sostanziale stabilità fra la sessione 2009/2010 e l’ultima (2011/2012) è verosimilmente dovuta sia alla crisi economica, sia alla prossima introduzione del Financial Fair Play che prevede, fra l’altro, che i debiti finanziari netti non superino i ricavi.

Tornando all’analisi di Sportintellingence, le squadre italiane sono presenti nelle prime posizioni con Milan (152,6 milioni di USD), Inter (142,5 milioni di USD), Juventus (117,3 milioni di USD) e Roma (97,4 milioni di USD).

Per trovare le altre partecipanti alla Serie A occorre scendere fino ai 51,3 milioni di USD della Fiorentina.

ITA Footbal salaries 2011 Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

Andando a vedere la media degli stipendi di calciatori in squadra emerge in maniera ancora più forte  la spaccatura della Serie A in tre tronconi:

ITA Football Salaries 2011 graph Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane

Questa classifica del costo del personale, riferita alla stagione 2010/2011, ci consente di fare alcune riflessioni se paragonata ai piazzamenti finali delle squadre a fine campionato. Su tutte emergono:

  • in positivo, Napoli ed Udinese che, pur in presenza di un monte ingaggi situato nella fascia media (il Napoli a 41,7 milioni di USD, l’Udinese addirittura a 26,4 milioni di USD) hanno raggiunto rispettivamente il 3° e 4° posto del campionato, superando squadre con monte ingaggi decisamente superiore (Juventus e Roma su tutte).
  • in negativo, oltre alla già citata Juventus, la Fiorentina, il Genoa e, soprattutto, la Sampdoria che è addirittura retrocessa in Serie B.
Tutto questo, comunque, in uno scenario nel quale il costo del lavoro nella Serie A ha raggiunto, fra salari ed ammortamenti, quasi il 90% del valore della produzione.
ITA Graph costo personale Gli stipendi delle squadre di calcio europee ed italiane
Fonte: Report Calcio 2012 
E’ forse venuto il momento di pensare all’introduzione di un salary cap? Il mondo del calcio europeo non sembra interessato a questa iniziativa.






Chi sta finanziando i debiti delle squadre di calcio spagnole?

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Debiti spagna Chi sta finanziando i debiti delle squadre di calcio spagnole?

Secondo un’articolo pubblicato sul Corriere della Sera lo scorso 7 giugno, il debito complessivo del calcio professionistico spagnolo ammonta a 5 miliardi di Euro, a fronte di un fatturato di 1,8 miliardi annuo.

Per andare in pari (senza neppure cominciare a restituire i debiti) bisognerebbe liquidare i calciatori di un terzo della Liga oppure il Real Madrid dimezzare il monte stipendi ai vari Ronaldo, Kaka e co.

Di questo ammontare, circa 1,4 miliardi di Euro sono debiti verso lo Stato per tasse e contributi sociali non pagati. La situazione è stata risolta mediante la stipula, nel mese di aprile 2012, di un accordo fra il Governo e la Liga de Fútbol Profesional che prevede il pagamento rateale di questo debito, dando in garanzia il 35% degli incassi derivanti dai diritti TV.

La restante parte proviene dalle banche, che hanno generosamente finanziato la crescita delle squadre spagnole (in particolare Real Madrid, Barcelona e Valencia). Peccato che le banche che a suo tempo finanziarono, ad esempio, l’acquisto di Cristiano Ronaldo e lo scoperto del Valencia in un momento di difficoltà siano poi confluite in Bankia, che è stata nazionalizzata all’inizio di giugno 2012.

Quindi anche una parte del debito bancario del football è allocato a carico dello Stato.







Spagna: il testo dell’accordo fra Governo Spagnolo, CSD e LFP sui debiti delle squadre di calcio (850 milioni di Euro)
Grazie ad un tweet della FASFE - Federación de Accionistas y Socios del Fútbol Español (@FASFEaficion) possiamo leggere il testo completo dell’accordo siglato il 25 aprile 2012 fra il Governo Spagnolo, il CDS (Consejo Superior de Deportes) e la LFP (Liga Futbol Profesional) sui debiti delle squadre di calcio, del quale avevamo parlato in precedenza.
Si tratta di circa 850 milioni di Euro di debiti tributari e previdenziali.


Il documento, in spagnolo, è visibile al link che segue
http://www.csd.gob.es/csd/estaticos/notici...rio-csd-lfp.pdf
 
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IL FISCAL COMPACT DEL PALLONE
di Fausto Panunzi 20.07.2012
L'ultimo caso è il passaggio di Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan al Psg. Ma sono ormai diverse le stelle del calcio vendute da squadre italiane in nome del fair play finanziario, una sorta di fiscal compact del calcio, imposto dalla Uefa per ridurre drasticamente le enormi perdite dei club. Ma ai tifosi sembra che valga solo per le squadre del nostro campionato, visto che altri continuano a spendere e a garantire ingaggi milionari. È possibile che la regola sia aggirabile. Le società italiane, però, rimangono troppo legate ai ricavi dai diritti televisivi.
I trasferimenti di Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan al Paris Saint-Germain per una cifra complessiva intorno ai 65 milioni di euro, a cui vanno aggiunti gli ingaggi milionari dei due giocatori (per Ibra si parla di quasi 14 milioni l’anno per tre anni), hanno sollevato perplessità nei tifosi milanisti e italiani. La scorsa estate c’era stata la cessione di un altro top player come Eto’o, venduto dall’Inter all’Anzhi, una squadra che gioca nel campionato russo, priva di tradizione calcistica, ma ricca di risorse finanziarie. Si può ormai dire che nessuna delle grandi stelle del calcio mondiale giochi oggi in Italia.

IL FISCAL COMPACT DEL CALCIO
Uno degli argomenti che viene avanzato dalle società che vendono i loro calciatori più importanti è che le cessioni servono per rispettare il fair play finanziario imposto dall’Uefa, l’organo che gestisce le competizioni calcistiche in Europa.
Il fair play finanziario, introdotto per ridurre le enormi perdite che gran parte dei club europei hanno avuto in questi ultimi anni, è una specie di fiscal compact calcistico. Impone che, fino al 2014-15, le società che intendono partecipare alle competizioni europee debbano chiudere i loro bilanci nel triennio precedente con un deficit complessivo non superiore ai 45 milioni di euro (con una tolleranza di altri 5 milioni). Il deficit complessivo tollerato nel triennio scende entro il 2018 a 30 milioni di euro, fino poi, in teoria, ad azzerarsi (sempre fatta salva la tolleranza dei 5 milioni) negli anni successivi. In altre parole, l’obiettivo del fair play finanziario è quello di ancorare le spese ai ricavi delle società stesse. È importante aggiungere che nei costi non vengono conteggiate le spese per costruire uno stadio nuovo e l’investimento in calciatori giovani, così da incentivare le società a investire in attività che diano dei frutti nel futuro.
Quali sono le sanzioni imposte dall’Uefa alle società che non rispettano il fair play finanziario? Si va dalle multe, alla perdita dei premi Uefa previsti per le competizioni europee, al blocco del mercato per una o più sessioni, fino all’esclusione dalle competizioni europee.

UNA REGOLA CHE NON VALE PER TUTTI?
La domanda che i tifosi italiani si pongono è la seguente: ma il fair play finanziario non vale anche per il Psg dello sceicco Al Thani, il quale non solo si è preso campioni celebrati come Ibra e Thiago Silva ma anche giovani promesse come Marco Verratti, arrivando a spendere in due anni quasi 200 milioni?
Ovviamente anche il Psg, che è un club francese, è soggetto alla normativa Uefa. Come è possibile allora che Milan e Inter debbano vendere per il fair play finanziario, mentre il Psg, come il Manchester City dello sceicco Al Mansour, continuano a spendere, apparentemente senza limiti? Ci sono almeno tre possibili spiegazioni. La prima è che la capacità di generare ulteriori ricavi sia maggiore per il Psg rispetto al Milan. In altre parole, grazie a Ibra e Thiago Silva, la squadra francese potrebbe aumentare i suoi ricavi da diritti televisivi, incassi dallo stadio, premi Uefa, merchandising. Il fatturato del Psg è oggi molto più basso di quello del Milan (non è tra i primi venti club europei come ricavi secondo Deloitte, mentre il Milan è al settimo posto, dunque questa ipotesi può avere qualche validità. Ma è altamente improbabile che i ricavi futuri del Psg cresceranno nei prossimi anni di una cifra vicina alle spese sostenute in questi anni. La seconda spiegazione è che il Psg sia convinto che alla fine le sanzioni Uefa non saranno applicate. È difficile escludere dalle competizioni le squadre con le stelle calcistiche mondiali, dato che l’Uefa stessa sarebbe danneggiata da una Champions senza City o Psg. Inoltre, il principale promotore del fair play finanziario, il presidente Michel Platini, potrebbe presto rimpiazzare Joseph Blatter alla guida della Fifa e non è detto che il suo successore abbia la stessa determinazione.
La terza è che il fair play finanziario sia aggirabile. Supponiamo che una società controllata direttamente o indirettamente dallo sceicco Al Thani decida di offrire una sponsorizzazione generosissima al Psg, ad esempio in cambio del nome sulle maglie o allo stadio. Questo farebbe aumentare i ricavi e quindi ridurre il deficit, magari fino ai 45 milioni previsti dal fair play finanziario. L’Uefa ha previsto il caso stabilendo che per queste voci occorre mettere a bilancio il fair value. Ma può stabilire qual è il valore “equo” di una sponsorizzazione? Insomma, come tutte le regolamentazioni, forse anche per il fair play finanziario esistono delle modalità per aggirarlo. Lo vedremo tra pochi mesi.
Quello che è chiaro è che in Italia ormai le società sono sempre più legate ai ricavi delle televisioni e che le altre fonti di ricavi (proventi da stadio, merchandising, sponsorizzazioni) non sono al livello di quelle dei migliori campionati europei. Ci vorranno anni per rovesciare questo trend e quindi per un po’ dovremo rassegnarci a vedere i migliori calciatori giocare all’estero. Per fortuna le televisioni fanno già vedere anche la Premier, la Liga e la Bundesliga. E, c’è da scommettere, dal prossimo anno, anche la Ligue 1.

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I DOLORI DEL CALCIO ITALIANO

di Luciano Canova 03.08.2012

Secondo uno studio di Deloitte, il calcio internazionale non sembra risentire particolarmente della crisi economica. Si tratta di un'industria che produce 4,4 miliardi di euro l'anno, con ricavi in crescita. Si conferma lo strapotere di Spagna, Inghilterra e Germania, mentre le squadre italiane appaiono in declino. Perché si affidano a una concezione del calcio padronale e antiquata. Tanto che i loro ricavi derivano principalmente dalla vendita dei diritti tv, mentre per lo più snobbano gli accordi commerciali. La questione dello stadio di proprietà.

Da qualche anno la Deloitte pubblica uno studio estremamente interessante, che s’intitola Football Money League.(1) È un documento che concerne un aspetto sicuramente molto discusso, la situazione finanziaria dei più importanti club di calcio, eppure trattato spesso con informazioni sommarie o addirittura fuorvianti.

I PIÙ RICCHI D'EUROPA

Lo studio del 2012, uscito lo scorso febbraio, fotografa la situazione economica delle venti squadre più ricche d’Europa, basandosi sui bilanci della stagione 2010/2011.
Un primo dato da evidenziare è che il business “calcio” non sembra essere particolarmente intaccato dalla crisi economica internazionale: si tratta di un’industria che produce, infatti, 4,4 miliardi di euro, con una crescita dei ricavi del 3,3 per cento rispetto all’anno precedente.
La classifica evidenza una certa stabilità, da qualche anno a questa parte, nelle prime sei posizioni: accanto al dominio incontrastato delle due big spagnole (Real Madrid e Barcellona), ci sono Manchester United, Bayern Monaco, Chelsea e Arsenal.
Insomma, trova conferma l’evidenza empirica dello strapotere di Spagna, Inghilterra e Germania (in forte ascesa), in concomitanza con un declino delle compagini nostrane.
Milan e Inter, infatti, seguono immediatamente questo sestetto, mentre Juventus, Roma e Napoli sono staccate, rispettivamente, al tredicesimo, quindicesimo e ventesimo posto.
Nella classifica, rispetto agli ultimi anni, è aumentata la presenza delle squadre tedesche, che si prevede scaleranno posizioni su posizioni nel futuro immediato: la cosa non sorprende, se si pensa ai brillanti risultati calcistici e all’oculata gestione di molti team della Bundesliga. Spicca, tra questi, lo Shalke 04 che, pur non avendo ottenuto risultati particolarmente brillanti sul campo, ha operato una strategia commerciale estremamente efficace.
Per l’Italia, invece, si conferma un declino che sembra inarrestabile nel medio termine, e figlio di una concezione del calcio padronale e antiquata.
Spicca anche la distanza siderale negli introiti: il duetto Real Madrid–Barcellona viaggia su incassi vicini ai 500 milioni di euro, quasi doppi rispetto alle due squadre di Milano.
Inoltre, mentre i team iberici mostrano un trend positivo (incremento di 41 milioni per il Real Madrid, con un +9 per cento, e di addirittura 52,6 milioni per i blaugrana, con un + 13 per cento), Inter e Milan sono in una situazione declino. (2)

 



I PROBLEMI DELLE SQUADRE ITALIANE

Un elemento importante riguarda il metodo scelto dalla Deloitte: lo studio si basa su un’analisi economica, che tenga dunque conto delle attività produttive delle squadre di calcio. E non di mera rendita o di operazioni inevitabilmente straordinarie.
Essenzialmente, le tre voci principali riguardano: biglietti/stadio; entrate commerciali (contratti di sponsorship e merchandising); diritti tv.
Non vengono volutamente presi in considerazioni i dati relativi alle transazioni dei giocatori, considerati giustamente non come operazioni economiche, ma come boccate di ossigeno una tantum che non producono un costante flusso di reddito.
Già da questo punto si evince la situazione non rosea di Inter e Milan, che mostrano invece un’attenzione smodata per le operazioni di mercato, dettata dalla necessità di ridurre un folle monte ingaggi, e non colgono, o lo fanno molto in ritardo, le opportunità degli accordi commerciali.
Sembra quasi di assistere alle polemiche sul rigore fine a se stesso delle politiche dei paesi indebitati in Europa. Un rigore inevitabilmente nocivo nei confronti della crescita.
Un altro dato che salta all’occhio è la natura dei bilanci delle squadre italiane. E la loro conseguente vulnerabilità.
Per Inter, Milan, Juventus, Napoli e Roma, le entrate derivanti dagli accordi per la trasmissione tv delle partite vanno dal 46 al 63 per cento dei ricavi totali. I diritti tv rappresentano un ricavo piuttosto passivo, fortemente legato alla natura del mercato delle telecomunicazioni del paese di riferimento e, soprattutto, molto dipendente dai risultati sul campo.
È chiaro, per esempio, che l’Inter possa aspettarsi un futuro a breve piuttosto fosco, a causa dell’uscita dalla Champions League. Inutile nascondersi dietro il paravento dell’importanza dell’Europa League (la vecchia coppa Uefa): pur rappresentando un mercato in forte crescita e con prospettive interessanti, il confronto con la Champions è impietoso: 754 milioni di euro divisi tra 32 squadre contro 150 milioni distribuiti tra 56 squadre.
Insomma, il rischio è quello di un serpente che si morde la coda: prestazioni deludenti, introiti da diritti tv più bassi e prestazioni ancora più deludenti.

LO STADIO DI PROPRIETÀ

Tra le squadre italiane, quella più moderna, almeno in prospettiva, è la Juventus. Sicuramente lo stadio di proprietà, se adeguatamente supportato con campagne tese a stabilizzare negli anni il numero di abbonati e spettatori paganti, può essere un valido contributo all’incremento dei ricavi. (3)
Tuttavia, rispetto a questa soluzione, bisogna porre dei caveat importanti. Innanzitutto, è necessario per l’appunto un numero di spettatori adeguato. Barcellona, Real Madrid, Manchester United e Bayern Monaco, viaggiano su medie tra i 60 e i 70mila spettatori a partita. Milan e Inter si fermano a poco più di 50mila, segno di una politica di prezzi poco incentivante.
Inoltre, uno stadio di proprietà non solo è un investimento redditizio esclusivamente nel lungo periodo, ma è fortemente legato anche alle prestazioni della squadra: i ricavi sono chiaramente crescenti in funzione di quante partite si giocano durante una stagione. Uscire dalla Champions League o dalla vecchia coppa Uefa ai primi turni potrebbe vanificare lo sforzo ingente della costruzione di un impianto.
È lecito dunque guardare con un po’ di scetticismo alle dichiarazioni programmatiche, per esempio, della dirigenza interista, proprio in un momento di rifondazione in cui è verosimile che la squadra, per qualche anno, non possa che andare incontro a risultati calcistici modesti.
Come mostrano i bilanci delle prime classificate della Money League, un investimento veramente produttivo è piuttosto quello degli accordi commerciali.
Sia per il Real Madrid, sia per il Barcellona, i ricavi derivanti dalla questa voce ammontano a un terzo del bilancio, con cifre di 172 milioni e di 156 milioni, rispettivamente, e incrementi annui del 15 per cento. Milan e Inter traggono, dalla stessa componente di bilancio, 91 milioni e 54,1 milioni di euro (25 per cento delle entrate). Dalla sola sponsorship della Qatar Foundation, il Barcellona riceve 30 milioni di euro annui, contro i 12 di Emirates per il Milan e di Pirelli per Inter.
Aggredire i mercati emergenti (cinese, indonesiano) potrebbe rappresentare una buona strategia per recuperare un gap strutturale di qualche centinaio di milioni. In questo, l’Inter è la squadra italiana che, finalmente, sta muovendo qualche passo nella direzione giusta.
All’orizzonte, comunque, si prospetta un periodo assai difficile per il nostro calcio: vecchio nelle sue strutture, poco attraente in quanto a competitività dei mercati.
Se gli sceicchi acquistano squadre inglesi o il Paris Saint Germain, non è tutto dovuto ai capricci di un emiro, ma a precise motivazioni di carattere economico.
Spiace chiosare con le parole del discusso procuratore di calciatori Mino Raiola, ma non si può in parte non condividere, o quanto meno cogliere il campanello d’allarme, di affermazioni come la seguente: “Sono finiti i tempi in cui vedevamo arrivare in Italia Maradona e Platini. Non siete stati capaci di investire in nulla: gli altri campionati sono delle industrie che funzionano, dei marchi importanti. Se oggi dovessi chiedere a un giocatore di andare in Italia, soprattutto al Sud, scapperebbe”. (4)

(1) http://www.deloitte.com/view/it_IT/it/ufficiostampa/b69c159dd9265310VgnVCM2000001b56f00aRCRD.htm
(2) I ricavi del Milan si sono ridotti da 244 milioni di euro a 235,1; l’Inter è passata da 224.8 milioni a 211.4 (e la situazione è destinata a peggiorare sensibilmente, a causa dei brutti risultati in Europa con l’esclusione dalla prossima Cl).
(3) Soprattutto se rafforzato dalla creazione di musei e visite guidate ai trofei della squadra, come avviene per il Barcellona Fc.
(4)  http://www.corriere.it/sport/12_luglio_22/il-manager-di-ibra-e-balotelli-grasso_25bc0ff4-d3c7-11e1-83bd-0877fdcd1621.shtml


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Ecco come i top club europei aggirano il Fair play finanziario...
In un interessante articolo di "Sabotagetimes.co.uk" tutte le modalità messe in campo dai top club europei per aggirare il progetto del Fair play finanziario fortemente voluto da Michel Platini. Un report che mette a nudo purtroppo i "bugs" del sistema Uefa che diventerà operativo (sotto il profilo delle sanzioni) dalla stagione 2014/2015.
Il Fair play finanziario è, per dirla semplicemente, l'adorato figlio del presidente della UEFA Michel Platini. L'eroe calcistico francese aveva promosso l'idea già nel 2009, dicendo che i club non possono più spendere oltre i propri mezzi per non ostacolare la loro sopravvivenza a lungo termine. In teoria, l'idea è buona. Si livella il livello delle squadre del calibro di Barcellona, Juventus, Manchester United e Celtic che non possono più steamroll loro cammino verso la cima alle loro classifiche rispettive.
Qualora le squadre non riescano a rispettare le regole, tra le possibilità ci sarebbe anche l'espulsione dalle competizioni europee. Questo dovrebbe spingere società del calibro di Chelsea e Paris St. Germain frenare la loro spesa estive, cosa che non sembra successa nell’ultima finestra dei trasferimenti. Entrambe, per esempio, hanno speso molto questa estate, con campioni del calibro di Eden Hazard e Oscar che si sono trasferiti a Stamford Bridge e Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva passando dell'Italia alla Francia.
Tuttavia, come ogni decisione importante, ci sono lacune da trovare e se questo significa che una squadra non possa spendere grandi cifre continuamente per garantire la propria gloria, è probabile che si punterà ad altro.

1) firmare un contratto di un sacco di soldi con la vostra azienda ex
Dopo l'acquisto del Chelsea da Ken Bates nel 2004, Roman Abramovich, ha chiaramente pensato al futuro, ha venduto infatti la sua partecipazione di controllo nella società petrolifera Sibneft a Gazprom per £ 8,4 miliardi nel 2005. Molti non pensavano niente di questo, solo che significa più soldi da riammettere nel club in materia di acquisti di giocatori e riqualificazione dell'area intorno Stamford Bridge.
Sette anni più tardi la vendita delle azioni sono tornate per aiutare proprio il Chelsea nel momento giusto. Convenientemente, come si potrebbe dire, i Blues il mese scorso hanno firmato un accordo con Gazprom per garantire al colosso russo di diventare il partner globale di energia del club, il cui valore economico è stato ritenuto "commercialmente riservato". Il Chelsea ha confermato il trasferimento del centrocampista brasiliano Oscar per £ 25m dopo un mese dall'accordo di sponsorizzazione era stata annunciato 'pubblicamente'.

2) Rinominare il tuo stadio
La scorsa estate, il Manchester City ha deciso di cambiare il nome della loro casa da 47.000 posti. Dal “City of Manchester Stadium” allo “Stadio Etihad”. L'accordo con la società durerà per i prossimi 10 anni, convenientemente per la proprietà di Abu Dhabi, che a sua volta detiene una quota dominante dei Citizen, per gentile concessione del proprietario , lo sceicco Mansour.
Comprensibilmente, l'affare ha sollevato le sopracciglia in tutta Europa, con la città che incasserebbe circa 100 milioni di sterline solo dal rebranding dello stadio, un piccolo cambiamento in verità, rispetto ai £ 300m della sponsorizzazione maglia. E 'stata la prima vera sfida della sentenza FFP, con i proprietari del club costretti a passare un test di' fair value '. Tuttavia, nonostante le lamentele del calibro di Barcellona e Manchester United, la UEFA non è riuscita a vedere qualcosa che non va nell'affare da parte della città e le ha permesso di continuare.

3) Salari
I giocatori che avevano firmato grandi contratti salariali prima del giugno 2010 sono, sorprendentemente, esenti dalla sentenza FFP, a condizione che i club possano dimostrare un trend migliore nei loro conti. I club che sarebbero stati interessati dal regolamento avrebbero quindi, lavorato duramente per proteggere i propri asset a lungo termine.
Tuttavia, la regola entrerà in circolazione solo fino alla fine della stagione 2014/15, vale a dire che le squadre che avevano assicurato ai giocatori dei contratti a lungo termine saranno costretti a modificare le loro offerte o vendere il giocatore in questione, al fine di bilanciare i costi.

4) Accordi TV
Il Paris St. Germain non ha mostrato ancora niente, solo di spendere fino a quello che chiedeva il proprio cuore. Con i soldi per i grandi acquisti di Zlatan Ibrahimovic, Thiago Silva e, più di recente, di Lucas Moura, la Ligue 1 sembra farsi beffe dei regolamenti del FFP dato che non entrerà in vigore domani. Tuttavia, con il grande arrivo di denaro, l'interesse per il PSG è destinato ad aumentare.
Ogni volta che una squadra viene rilevata da ricchi investitori, il club in questione spende molto, l'interesse dei fan aumenta rapidamente. E il successo del Manchester City e del Malaga, prima della loro implosione finanziaria, è probabile che accada con la squadra parigina. Con l'acquisizione per un sacco di soldi di Lucas, per esempio, la curiosità dei tifosi del Sao Paulo è prevista in aumento.

5) Accordi TV Pt. 2
Il recente accordo di 3 miliardi di sterline firmato da Sky e BT nel giugno ha ulteriormente riempito le tasche delle squadre nella parte più alta del calcio inglese. L'accordo non può entrare in vigore fino alla stagione 2013/14, ma vedrà un aumento dei fondi del 71% per ogni outfit della Premier League. Per dirla nel contesto, la squadra in basso alla classifica nella stagione 13/14 è probabile che possa guadagnare £ 60.6m in più del Manchester City nella scorsa stagione.
Il City quest'anno ha vinto il primo trofeo della Premier League nella sua storia. Se le squadre erano preoccupate per i vincoli del Fair Play Finanziario, devono aver tirato un sospiro di sollievo ora, con la spinta finanziaria che verrà dal Sky e BT probabilmente per compensare la maggior parte del debito.

6) Aliquote fiscali differenti
Le aliquote fiscali differiscono sostanzialmente in Europa, vale a dire che l'ammontare del debito del club si impegna ad ogni alterazione da paese a paese. Per esempio, in Inghilterra, un giocatore guadagna circa 156.000 £ lordi a settimana, portando a casa circa £ 78.000, in netto contrasto con i £ 102.000 della Spagna. I conti di ciascun club possono variare notevolmente, ma dovrebbero tenerli all'interno di una nazione con un tassazione più bassa, che sono suscettibili di rientrare negli orientamenti stabiliti dalla UEFA.

7) di proprietà di terzi
Alcune squadre, in particolare in Sud America, sono adottate da proprietà di terze parti, un mezzo per ridurre i costi, un modo di investire in talento che potrebbe aumentarne di valore. La Premier League ha vietato l'uso di proprietà di terze parti a seguito dei problemi che causarono nei trasferimenti di Carlos Tevez e Javier Mascherano nel 2006.
Il risparmio del Club è enorme, non dover finanziare completamente i giocatori e portare a reddito la vendita dei diritti sul nome a terzi. L'intero processo è del tutto consentito dalla legge FFP, con squadre di tutta Europa che adottano un approccio simile. Ad esempio, la legge dei co-proprietà in Italia permettere ai team di 'vendere' un giocatore ad un altro, dove la squadra di acquisto paga gli stipendi per tutta la stagione, un'altra scappatoia che lavorerà in favore del club che vende.

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Si scrive Champions League, si legge ‘giro d’affari’ da 1,34 miliardi di euro
Mercoledì 19 Settembre 2012 09:00
Al via la coppa più ricca di sempre con 900 milioni di euro di montepremi. Musica per le orecchie dei club: 8,5 milioni per ogni finalista, 1 milione a vittoria, 3,9 per chi si qualifica ai quarti, 4,9 per chi arriva in semifinale; chi perde la finalissima porta a casa 6,5 milioni; la vincitrice la bellezza di oltre 10,5 milioni di euro
Riparte la Champions League: la Coppa dei Campioni, come si chiamava fino al 1992; o la ‘Coppa dei milioni’, come potrebbe essere ribattezzata oggi. L’edizione 2012/2013 sarà infatti la più ricca di sempre, da ogni punto di vista.
A partire dal montepremi complessivo, che sfonda quota 900 milioni di euro; ben 150 in più rispetto all’anno scorso. L’ammontare netto destinato ai club partecipanti (tra cui Juventus e Milan) consta di 500 milioni di contributi fissi e 410 milioni di contributi variabili. Le 32 squadre qualificate riceveranno una quota di partecipazione tutt’altro che simbolica: circa 8 milioni e mezzo di euro, che cambieranno la stagione di molte società medio-piccole. E qui il pensiero corre alla nostra Udinese: il club friulano si deve accontentare di soli 2 milioni di euro, come tutte le altre eliminate al preliminare.
Per chi invece è riuscito ad entrare nel tabellone principale le gioie economiche non finiscono qui: ogni vittoria nella fase a gironi vale 1 milione di euro, un pareggio 500mila. Così come il passaggio del turno verrà ricompensato con 3,5 milioni di euro. E ancora: 3,9 milioni per chi si qualifica ai quarti, 4,9 per chi arriva in semifinale; delle due finaliste, infine, la perdente porterà a casa 6,5 milioni, la vincitrice la bellezza di oltre 10,5 milioni di euro (l’anno scorso erano 9). Oltre alla coppa, ovviamente, quasi un dettaglio.
Cifre esorbitanti ma non spropositate, se si considera il giro d’affari mosso dalla massima competizione calcistica continentale. Secondo la Uefa, le entrate commerciali lorde generate dalla prossima Champions (insieme alla Supercoppa, già giocata qualche settimana fa e vinta dall’Atletico Madrid sul Chelsea per 4-1) dovrebbero aggirarsi intorno agli 1,34 miliardi di euro. Di questi, circa il 70 per cento verrà destinato ai club; la parte rimanente resterà in mano alla Uefa, utilizzata per finanziare i costi organizzativi e i vari fondi di solidarietà da cui provengono i contributi per le squadre eliminate e in parte anche per l’Europa League.
Questa è anche l’ultima edizione prima della piena entrata in vigore del famigerato Fair Play Finanziario: dal 2013, infatti, la norma voluta da Platini comincerà a vincolare le spese dei club europei in relazione allo stato di salute dei loro bilanci. Ne sa già qualcosa il Malaga: la squadra spagnola (inserita nel Girone C, lo stesso del Milan) è l’unico club di Champions facente parte della lista nera dei 23 club a cui la Uefa ha sospeso il versamento dei premi per pagamenti insoluti. Se non dovessero risolvere tali pendenze entro il 30 settembre, gli andalusi si vedrebbero costretti a rinunciare ad almeno 8 milioni di euro.
E’ un segnale che mette in allerta le altre. In primis, Manchester City e Paris Saint-Germain: due tra le out-sider più attese del torneo, tra le poche squadre in grado di contrastare lo strapotere di Barcellona e Real Madrid. Eppure, dati alla mano, negli anni a venire rischiano seriamente di pagare dazio al fair play finanziario, forse addirittura di vedersi escluse dalla Champions. Il City, che quest’estate non ha fatto follie sul mercato, viene da un passivo di oltre 200 milioni di euro; il Psg, invece, solo negli ultimi due mesi tra Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, Lucas, Verratti e compagnia varia ha speso più di 150 milioni di euro. Per entrambe – ancora lontanissime dagli introiti record di corazzate come Barça, Real e Manchester United – il disavanzo massimo di 45 milioni di euro tra entrate e uscite che sarà in vigore dalla prossima stagione è un miraggio.
Certo, l’intransigenza della Uefa nei confronti dei grandi club è ancora tutta da verificare. Così come bisogna vedere quanto sarà difficile aggirare tali norme: la sponsorizzazione da 400 milioni di sterline sottoscritta dal City con Etihad Airways (la compagnia aerea di Abu Dhabi, che di fatto appartiene allo stesso proprietario del club, lo sceicco Mansour) sa tanto di iniezione di capitale ‘mascherata’.
Ma, a scanso di equivoci, gli uomini di Mancini ed Ancelotti faranno bene a sbrigarsi, e puntare dritti alla finale di Wembley. Anche perché in ballo ci sono circa 35 milioni di soli premi Uefa: una ragione in più per alzare la coppa dalle grandi orecchie.

il fatto quotidiano
 
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"I calciatori? Non sono ricchi"
L'AssoCalciatori: "Ci sono pochi eletti milionari, ma la maggior parte dei professionisti guadagna poco!"

di Nadia Francalacci
“Non bisogna farsi ingannare dagli ingaggi milionari perché la maggior parte dei calciatori ha stipendi di poche migliaia di euro al mese. Purtroppo sono i contratti stellari di pochi a dare un’immagine distorta della realtà economica che ruota attorno al mondo dei calciatori”. Dunque essere calciatore non vuol dire essere milionario. Anzi.“Il calciatore è un professionista che lavora ma a differenza di altri professionisti concentra la sua carriera in pochi anni e poi è costretto a reinventarsi”.
E’ Damiano Tommasi, Presidente dell’ Aic, Associazione Italiana Calciatori a parlare, ad inizio stagione, degli stipendi dei giocatori di Serie A, Serie B e Lega Pro.
“I calciatori non sono mai stati ricchi, eccetto quei pochi che per meriti, caparbietà e circostanze favorevoli sono riusciti ad ottenere contratti milionari- continua il presidente- questa convinzione comune nasce da informazioni veicolate in modo molto sbagliato”
Secondo i dati dell’Area statistiche Aic, la media degli stipendi dei calciatori Serie B è di 128 mila euro a stagione. Ovviamente ci sono club di “B” che puntano decisamente alla Serie A ed hanno un monte ingaggi che supera i 10 milioni di euro a stagione ma ci sono anche squadre neo promosse o che non coltivano ambizioni di classifica, che investono tra 1 e 2 milioni di euro per l’intera rosa a stagione.
E la situazione non migliora certamente nella Lega Pro.
“Nel 2011 il 75% degli stipendi dei calciatori della Lega Pro si aggirava sui 30 mila euro l’anno - puntualizza Tommasi - con una media di poco più di 2.500 euro lordi al mese”. E adesso in tempi di crisi sicuramente gli ingaggi dei club “minori” non sono aumentati.
Persino in Serie A, i più blasonati come Milan e Inter hanno deciso per la stagione 2012-13 di “tagliare “ sugli stipendi dei giocatori: il club rossonero ha risparmiato ben 60 milioni di euro e l’Inter, 40 milioni. Controtendenza solamente la Juventus.
Ma non bisogna scendere in Lega Pro per trovare stipendi non proprio da nababbi. Scorrendo i tabellini degli ingaggi della Serie A basta osservare i contratti di giocatori della Roma, del Milan oppure del Cagliari, Genoa e Torino.
Ad esempio giocano fianco a fianco nella Roma un De Rossi da 6 milioni di euro l’anno e un Florenzi che invece ha un contratto da 30 mila euro lordi a stagione. Più o meno 2.500 euro lordi al mese. Insomma guadagna quanto un giocatore di Lega Pro. Oppure all’interno dello spogliatoio del Milan c’è un Mexes, Pato e Robinho rispettivamente da 4 milioni di euro l’anno e un Gabriel da 4.160 euro lordi al mese.
Nel Genoa: Borriello con 1, 4 milioni di euro contro i 60 mila euro di Marchiori e Stillo; nel Torino dove il più ricco è Bianchi (1,3 milioni ) e i più “poveri” sono Gomis e Sucius rispettivamente con un contratto da 80 mila euro.
Il club più “povero” in assoluto della Serie A è il Cagliari dove lo stipendio più alto è quello di Conti, 750 mila euro l’anno e quello più basso, di 30 mila euro, percepito da ben 4 giocatori: Anedda, Del Fabro, Murru e Piredda.
“Uno degli obiettivi dell’Aic è proprio quello di cercare di educare i giocatori ad amministrare il loro patrimonio, poco o molto che sia, durante il periodo di carriera- precisa Damiano Tommasi- solo così i giocatori non si ritroveranno con le scarpette appese al chiodo, disoccupati e senza una stabilità economica”
“Purtroppo, al momento, l’associazione Aic non ha un settore giovanile di proprietà sul quale iniziare a lavorare ma abbiamo moltissimi progetti che vogliamo realizzare con i ragazzi e soprattutto i genitori- conclude Tommasi- quest’ultimi hanno bisogno di essere educati alla carriera dei propri figli tanto quanto i giocatori”.

http://sport.panorama.it/calcio/I-calciatori-Non-sono-ricchi
 
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Cesena, rischio crac: ci sono 35 mln di passivo
20.01.2013 19.00 di Carlotta Delperdono per tuttob.com
Situazione economica difficilissima in casa cesenate, stando almeno a quanto riportato su Corriereromagna.it nell'articolo "Cesena, un quadro più cupo del previsto". Infatti, in base alla stime, il Cesena ha debiti per 35 milioni di euro (25 dei quali tra erario e fornitori), mentre vanta un credito di 8-9 milioni nei confronti della Lega di B. Il problema è che il credito non potrà essere riscosso prima dell'iscrizione al prossimo campionato, un'impresa tutt'altro che semplice. Il presidente Giorgio Lugaresi, che ha rilevato il club da Campedelli, sta provando a salvare la baracca coinvolgendo dei nuovi partner (7 per la precisione), ma è stato costretto ad ammettere che "È dura, molto dura". Il numero uno romagnolo, ha anche aggiunto: "Non nego che la situazione sia pesante, però quella che trovai nel 2002, quando rilevai l'Ac Cesena da mio padre, era simile. Il debito era assai inferiore, certo, però allora si era in C1 con introiti annui di un paio di milioni di euro, ora siamo in B con 8 milioni di ricavi prodotti. Allora ce la facemmo. Speriamo di farcela anche ora".
Lugaresi, in ogni caso, spera nel piano industriale di risanamento commissionato ad un'apposita società, anche se resta realista e piuttosto preoccupato: "Da soli non ce la possiamo fare. Magari potremo riuscire a mettere pezze sul breve periodo, ma sul lungo no. Abbiamo bisogno che altri imprenditori entrino nella "Cesena&Co" e vengano a darci una mano. Perché l'Ac Cesena ha dato lustro e continua a darlo alla città, alla provincia e a tutta la Romagna, per cui chi ne ha tratto e ne trae benificio, deve ricordarsi di chi ha fatto conoscere la città in Italia e nel mondo". Un appello davvero toccante, peccato però che entro il 31 gennaio il Cesena debba versare altri 500mila euro! Insomma, sarà bene che il Grosseto faccia di tutto e di più per risalire la classifica, non solo nella speranza di compiere un'impresa sportiva, ma anche per saper cogliere eventuali "difficoltà" altrui.
 
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La miniera d'oro del Manchester United: venduti i naming rights del centro tecnico per 180 milioni
8 aprile 2013 - 13:17
Calcio italiano Spa: Serie B e Lega Pro in perdita cronica, ma i fondamentali migliorano I conti dei club di serie B e Lega Pro, tutto sommato, presentano dei segnali di miglioramento. Dopo l’inversione di tendenza verificatasi nella stagione 2010-2011, con il ritorno alla crescita dopo anni di calo, il valore della produzione della Serie B conferma il suo trend positivo raggiungendo nel 2011-2012 quota 384,9 milioni, in aumento del 14,7% sull’anno precedente.
Serie B. Il motivo di maggiore soddisfazione, come chiarisce l'analisi contenuta nel Reportcalcio2013 elaborato da Figc, Pwc e Arel, per la Lega di Serie B è costituito dal rilevante aumento (+50,3%) dei ricavi da stadio, che negli ultimi anni, dopo il passaggio della Juventus nel campionato cadetto (2006-2007), erano sempre stati in diminuzione. Dopo due anni di calo riprendono quota le plusvalenze realizzate sulla cessione dei calciatori, che salgono da 87,5 a 109,3 milioni (+25%). Decrescono invece i contributi in conto esercizio, scesi dai 61 milioni del 2010-2011 ai 48,4 del 2011-2012. I costi aumentano (+13,7%) in misura leggermente inferiore rispetto alla crescita del valore della produzione. Quelli imputabili al personale tesserato (costo del lavoro più ammortamenti dei diritti sui calciatori) rappresentano il 71% del totale. Anche la Serie B presenta un miglioramento della situazione patrimoniale delle società: il patrimonio netto medio risale da 2,3 a 3 milioni, con una crescita tendenziale nel quinquennio del 4,6%. L’indebitamento totale medio sale del 4% a quota 20,2 milioni. Le iniziative intraprese dalla Lega di Serie B e da diversi club hanno portato ad una importante riduzione della perdita netta nella stagione 2011-2012. Tale valore è passato da 72,5 milioni della stagione 2010-2011 a 56,1 milioni dell’ultimo periodo analizzato.
Lega Pro. Il profilo economico-finanziario della Lega Pro risulta condizionato dal numero dei bilanci presentati e perciò analizzati. Le società che retrocedono o perdono l’affiliazione per fallimento o altre ragioni non sono tenute, infatti, a presentare i bilanci. Ragionando in termini assoluti si può tuttavia constatare come il valore della produzione, dopo un triennio di accentuate sofferenze, sia tornato sostanzialmente ai livelli di inizio quinquennio. Per la precisione il tasso di crescita del periodo 2007-2012 è dello 0,7% sia in Prima sia in Seconda Divisione. I costi della produzione invece testimoniano un andamento differente: nel quinquennio sono saliti dell’1,4% in Prima Divisione e sono scesi del 3,8% in Seconda Divisione. Da segnalare che l’incidenza del costo del lavoro sul valore della produzione in Prima Divisione è addirittura pari all’83%. I dati analizzati evidenziano una situazione di sofferenza del sistema Prima Divisione: a fronte di ricavi medi pari a 2,9 milioni, si registrano costi per 4,3 milioni e cioè superiori del 48,3% rispetto alle entrate. Il risultato netto medio si mantiene perciò negativo per 1,4 milioni, in lievissimo calo rispetto alla stagione precedente (-1,4 milioni). Migliora invece il saldo negativo della Seconda Divisione in decrescita continua e passato da 747mila a 324mila in cinque anni. Fra le società analizzate migliora comunque la consistenza patrimoniale. Il patrimonio netto medio dei club di Seconda Divisione, negativo nella stagione 2010-2011, è risalito nel 2011-2012 a 39mila euro. Mentre ancora migliori sono i dati relativi alle società di Prima Divisione, il cui patrimonio netto medio è balzato dai 95mila del 2010-2011 ai 403mila euro del 2011-2012, con un tasso tendenziale di crescita nel quinquennio del 25,2%.

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Calcio italiano spa: nel 2012 è fuga dagli stadi e i ricavi da botteghino calano del 10%
5 aprile 2013 - 7:50
Fuga dagli stadi. I numeri del Reportcalcio2013, da questo punto di vista, sono sempre più allarmanti. I ricavi da stadio sono scesi a 186,4 milioni (-10,5%) e rappresentano ormai solo il 9% del totale. Il numero di spettatori della serie A (il 63,5% dell'intero sistema) è in calo del 6,5%, la percentuale di riempimento è scesa al 55% (-4%). In controtendenza la serie B, dove gli spettatori sono cresciuti del 22,8%. Ma se allargato alle serie minori, il quadro resta desolante.
Spettatori in calo. Nel 2011-2012 sono 13.164.671 gli spettatori, con una diminuzione dell'1,6%. La percentuale complessiva di riempimento è del 39%. Il problema più grande resta l'inadeguatezza degli impianti. Solo tre stadi, infatti, sono in grado di ospitare partite internazionali delle principali competizioni, mentre ben 15 stadi su 36 non hanno i requisiti minimi per accedere alla più bassa delle categorie Uefa. ''Nonostante le difficoltà infrastrutturali non dobbiamo dimenticarci che siamo al sesto posto nel mondo come presenza negli stadi, davanti a paesi come Brasile, Argentina e Stati Uniti, e al quinto posto in Europa. Non nascondiamo i nostri problemi, ma dobbiamo avere fiducia nel futuro senza entrare in una logica di pessimismo cosmico'', ha affermato il presidente della Figc, Giancarlo Abete.
La legge che non c'è. ''Non siamo il terzo mondo del calcio'', ha aggiunto il n.1 di via Allegri, prima di ricordare che ''solo il Brasile ci supera nei successi internazionali''. Di certo, il sistema pallone non puo' prescindere da impianti piu' funzionali. E la legge sugli stadi, accantonata nella passata legislatura dopo un lungo ed inutile iter, secondo l'onorevole Enrico Letta ''deve essere al centro della prossima legislatura, cosi' come la riforma della legge 91 sul professionismo. 'Sono temi sui quali in questi anni si è sviluppata una litania. Sono questioni complesse di strettissima attualità, viste le vicende dello stadio Is Arenas, dalle quali emerge una situazione insostenibile. Non c'è un unico problema, ce ne sono parecchi: l'urbanistica, la tempistica per le concessioni, l'esigenza di riempire gli stadi tutta la settimana e non soltanto una domenica su due. Spero che lo Juventus Stadium diventi un esempio positivo. Sarebbe veramente un peccato se questa legislatura non fosse in grado di dare soluzioni".
Sicurezza. Numeri più confortanti sono quelli relativi alla sicurezza. La stagione 2011-2012 presenta infatti un decremento del 7,7% nel numero delle gare in cui si sono verificati incidenti e una forte diminuzione delle persone denunciate (-21,6%) e arrestate (-44%).

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I club di Serie A nel 2012 hanno fatturato in media 107 milioni e ne hanno spesi 119
4 aprile 2013 - 16:56
La Serie A ha ripreso a crescere registrando nel quinquennio un incremento medio dei ricavi del 4% (da 1.817 milioni del 2007-2008 a 2.146 milioni del 2011-2012). Dato lo scenario economico nazionale e internazionale dell’ultimo biennio è aumentata l’attenzione delle società al controllo dei costi. La crescita impetuosa degli anni precedenti si è arrestata. Rispetto alla stagione precedente l’aumento del costo della produzione si è limitato al 3%, da 2.306 a 2.376 milioni nel 2011-2012.
Nella stagione 2011-2012 il valore della produzione medio delle 20 società partecipanti al campionato maggiore, come spiega Reportcalcio2013 di Figc, Pwc e Arel, si è attestato alla quota record di 107,3 milioni, in crescita del 5,6% rispetto alla stagione precedente. Il costo della produzione medio ha toccato invece quota 118,8 milioni, facendo registrare una crescita più contenuta.
Patrimoni. La stagione 2011-2012 si è soprattutto contraddistinta per l’inversione di tendenza riscontrata in termini di stabilità finanziaria: dopo quattro anni di erosioni continue, il patrimonio netto aggregato delle società è sensibilmente migliorato, per una quota del 39%, riportandosi a un livello di 208 milioni di euro, tuttavia ancora ben lontano rispetto ai 402,9 milioni della stagione 2007-2008.
Debiti e perdite. Nell'ultima stagione la posizione finanziaria netta, e cioè l’indicatore dell’indebitamento finanziario, è risultata in calo di circa il 7% da 885 a 826 milioni. Nonostante l’inversione di tendenza riscontrata a livello di calcio professionistico italiano in generale, e che riguarda quindi anche la Serie A, il risultato netto registrato per la stagione 2011-2012 è ancora negativo. Ma la perdita è in calo di circa 20 milioni, dai 300 milioni del 2010-2011 si è passati ai 281 dell’ultima stagione analizzata. La perdita media si attesta perciò sui 14 milioni circa a club (era intorno ai 15 nel 2010-2011).
Diritti tv. I diritti televisivi continuano a rappresentare la principale fonte di ricavo della Serie A, ma il loro peso specifico scende dal 46% al 43%. Va sottolineato come il nuovo meccanismo di ripartizione, introdotto nella stagione 2010-2011, abbia consentito una distribuzione più equilibrata delle risorse generate: il rapporto fra top club e bottom club si è fortemente ridotto da 19,2/1 nel 2007-2008 a 7,2/1 nella stagione 2011-2012. Pur restando ancora distante da quello dei competitor europei, inferiore ovunque a eccezione della Spagna (in Premier League il rapporto è 1,5/1).
Plusvalenze e stadi. La seconda principale fonte di ricavo è costituita dalle plusvalenze che nella stagione 2011 2012 hanno raggiunto la quota del 20%. Il maggior impegno dei club di Serie A in politiche tese al perseguimento di questo obiettivo ha portato a un aumento del 20% rispetto alla stagione precedente (da 357 a 428 milioni). Cresce anche la voce denominata “altri ricavi e proventi diversi”, salita nel 2011- 2012 a quota 252,2 milioni, pari al 12% del totale. Si tratta sostanzialmente di entrate generate da attività di gestione calciatori, compartecipazioni e prestiti, e da capitalizzazioni dei costi sostenuti per i settori giovanili. Non si arresta invece la flessione progressiva dei ricavi da stadio, scesi ancora a 186,4 milioni. Ormai essi rappresentano soltanto il 9% del totale.
Costo del lavoro. Il costo del lavoro resta al 50%, voce dominante fra i costi della produzione. Per la quasi totalità (94%) è rappresentato dai costi per il personale tesserato (giocatori e tecnici). Naturale contraltare dei ricavi da plusvalenze, il 22% delle spese è costituito da ammortamenti e svalutazioni, risultato anche delle politiche di investimento delle stagioni precedenti. Nel quinquennio 2007-2012 la crescita del rapporto tra plusvalenze relative alle cessioni ed ammortamenti è costante, a dimostrazione che il plusvalore generato dalle cessioni rimane in gran parte all’interno del sistema calcio italiano. In particolare, il livello degli ingaggi è stato pari a 1,1 miliardi, cui vanno ad aggiungersi 427 milioni di ammortamenti. Il rapporto tra i costo imputabile al personale tesserato e il valore della produzione è pari in serie A al 72%.

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Calcio italiano Spa: nel 2012 le perdite calano del 10% (388 milioni) e il fatturato sale del 7% (2,6 miliardi)
4 aprile 2013 - 11:15
Il calcio italiano Spa è cresciuto costantemente durante le ultime cinque stagioni sportive, a dispetto della crisi. Dal 2007 al 2012, il valore della produzione aggregato ha avuto un aumento medio del 3,6%, attestandosi a 2,6 miliardi nella stagione 2011-2012, mentre il costo della produzione, è salito in media del 4,9%, e ammonta alla stessa data a 3 miliardi. Anche le perdite nette aggregate del quinquennio analizzato nell'edizione del ReportCalcio 2013, presentato oggi a Roma da Figc, Pwc e Arel, sono cresciute, passando da 261 milioni (2007-2008) a 388 milioni della stagione 2011-2012, sebbene quest’ultimo periodo abbia evidenziato un miglioramento sulla perdita netta di quasi il 10% (430 milioni nel 2010-2011).
Fatturato e costi. Gli indicatori economici segnalano, in ogni caso, nella stagione 2011-2012 una più accorta gestione economica e finanziaria delle società. I risultati economici registrati dai club di Serie A, Serie B e Lega Pro Prima e Seconda Divisione indicano che per la prima volta la crescita del valore della produzione supera la crescita dei costi di produzione. Il valore della produzione, che nella stagione 2010-2011 aveva fattore registrare un calo dello 0,8% nei valori aggregati del calcio professionistico italiano rispetto alla stagione precedente, nel 2011-2012 è risalito del 7% trainato anche dall’aumento delle plusvalenze sulle cessioni dei calciatori (pari al 20% del valore della produzione). I costi invece sono cresciuti in misura inferiore (+4,4%), a dimostrazione di una maggiore attenzione e un maggiore controllo, imposti sia dagli attuali scenari macroeconomici che da un ridimensionamento dei piani strategici in un'ottica di Financial Fair Play.
Patrimonio netto. Le minori perdite registrate nella stagione 2011-2012 hanno contribuito con le ricapitalizzazioni effettuate all’aumento del patrimonio netto da 202 a 287 milioni (+43%), a conferma di un rafforzamento della solidità patrimoniale complessiva sebbene la stessa sia stata quasi dimezzata nel corso del quinquennio analizzato (460 milioni nella stagione 2007-2008).
I ricavi. L'incremento del valore della produzione nella stagione 2011-2012 è stato reso possibile in gran parte grazie all’impatto dei ricavi derivanti dalle plusvalenze saliti di 93 milioni a quota 537 milioni (+20,9%). Sono ancora naturalmente i ricavi da diritti televisivi la principale fonte di ricavo dell’industria calcio italiana (990,7 milioni nel 2011-2012): rappresentano infatti circa il 37% del totale del valore della produzione. Il raggiungimento dell’obiettivo del miliardo di euro di ricavi dipenderà dalla performance delle squadre italiane nelle competizioni europee e dalla crescita del business nel contesto internazionale. Nel corso dei 5 anni di analisi, la migliore performance media è stata raggiunta dai ricavi relativi a sponsor ed attività commerciali, passati da 305,4 milioni nel 2007-2008 a 401,9 milioni nell’ultima stagione. Ma questa fonte di ricavo dovrà necessariamente crescere nel corso dei prossimi esercizi in quanto rappresenta solo il 15% del totale del valore della produzione. In Germania la stessa rappresenta circa il 39% dei ricavi. La principale nota negativa arriva dai ricavi da stadio, diminuiti dal 2007 di circa il 4,4% (da 275 milioni a 230 milioni del 2011-2012). Un trend negativo che senza gli stadi di nuova generazione sarà difficilmente invertibile.
Costo del lavoro. Dopo il lieve calo registrato nella stagione 2010-2011, nel 2011-2012 il costo del lavoro è tornato a salire, sia pure in misura ridotta (+3,4%), portando il totale a 1,5 miliardi, e cioè al 50% del totale dei costi della produzione.

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