Il Forum dei Tifosi dell'Empoli F.C.

Gli stadi della memoria, Luoghi che raccontano un calcio che non c'è più

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view post Posted on 1/11/2010, 11:56
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GLI STADI DELLA MEMORIA
Luoghi che raccontano un calcio che non c'è più

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ANTEFATTO
Sbarcato da clandestino sul finire dell'Ottocento, dopo essere stato a lungo imbucato nella stiva di chissà quale nave inglese, il pallone cominciò a rotolare tra gli italiani con l'umiltà e la circospezione dell'ospite indesiderato. Il concetto di sport popolare, inteso come distrazione dagli impegni lavorativi (il cosiddetto diporto non è che lo spostarsi altrove, il dedicarsi ad altro), non era ancora stato elaborato in un paese in cui la miseria e il bassissimo tasso di scolarizzazione rendevano un lusso inconcepibile l'idea stessa del "tèmpo libero". Le società ginnastiche, sorte in molte città del Nord nel corso del XIX secolo - unica forma di associazionismo ricreativo -, erano in realtà consorterie ristrette assolutamente incapaci di svolgere una qualsiasi funzione aggregante. Cosa che invece riuscì fin dal primo momento a quel singolare aggeggio di cuoio, attorno al quale si strattonavano incuriositi i marinai di Genova, di Napoli, di Palermo.

Dovette aspettare a lungo, il foot-ball, prima di abbandonare la banchina. Le società ginnastiche storcevano il naso di fronte al giocattolo d'importazione così poco confacente alle compassate abitudini dei loro soci. Quando si decisero ad accoglierlo, gli attribuirono un ruolo marginale: un'arruffata baraonda nella quale si facevano coinvolgere di tanto in tanto podisti e ginnasti al termine dello loro - serie - esercitazioni. Il passatempo del passatempo. E dove invece nacquero - come a Genova - società calcistiche, fu per iniziativa di marinai o studenti inglesi, incapaci di sopravvivere lontano da casa senza il loro amato foot-ball. In questo modo comunque, il pallone abbandonò i porti e trovò i primi campi.
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Niente a che vedere, sia chiaro, con i curatissimi prati inglesi: ci si doveva accontentare delle immense spianate delle piazze d'armi o dei terreni sconnessi e spelacchiati della periferia. Lo scarso pubblico, amici o aspiranti giocatori, si sistemava alla meglio attorno al campo: qualcuno portava la sedia da casa. Alla finale del primo campionato italiano di calcio, giocato a Torino in una sola giornata (l'8 maggio 1898) assistettero 153 persone, sistemate su una rudimentale tribuna di legno.
Cornice che divenne abituale nei primi vent'anni del nuovo secolo: chi non trovava posto sulla tribunetta seguiva la
partita in piedi, a bordo campo. Solo una cordicella divideva il pubblico dai giocatori. Gli spogliatoi? Un capanno di legno, se c'era. Altrimenti si arrivava già vestiti di tutto punto, mutandoli e scarpe chiodate comprese. A Roma i pionieri della Lazio risolvevano il problema della doccia tuffandosi nel Tevere.

Quando la federazione ha la bella pensata di riunire i migliori giocatori italiani in una rappresentativa nazionale - 1910 - l'unico contesto adatto per accogliere un pubblico un po' più numeroso del solito è l'Arena di Milano, monumento alla grandeur napoleonica, datato 1805. Solo negli anni Dieci sorgono impianti vagamente somiglianti a stadi, in grado di ospitare quattro-cinquemila spettatori (l'Inter si trasferisce al campo di via Goldoni, la Juventus in via Marsiglia, il Bologna allo Sterlino, la Lazio alla Rondinella): il calcio non è più un divertimento da dopolavoro.

CALCIO DI REGIME: NASCONO I COLOSSI
Ma è alla metà degli anni Venti, quando il regime fascista comprende quale valore può avere lo sport popolare come veicolo di propaganda, che il calcio diventa un fenomeno di massa. Tra il 1926 e il 1934, l'anno dei Mondiali italiani, sorgono i primi grandi stadi: il Littoriale a Bologna, il San Siro a Milano, il Filadelfia e il Comunale a Torino, lo stadio del PNF e quello di Testaccio a Roma, l'Ascarelli a Napoli, il Berta a Firenze. Accanto ai colossi, grazie a un piano di agevolazioni che prevedeva la costruzione di un campo da calcio e degli impianti per l'atletica alla modica cifra di 150.000 lire, proliferarono le piccole strutture sportive.
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Si calcola che nel 1930 i campi costruiti dai comuni fossero circa 2.500. Di questo enorme progetto restano ancora oggi tracce visibili. Molti dei grandi stadi sorti in quel periodo sono tuttora utilizzati (si pensi a San Siro e agli stadi di Bologna e Firenze). Altri invece sono stati accantonati: quelli che non sono stati demoliti passano in silenzio le domeniche che una volta li vedevano protagonisti. Se fosse possibile, per una volta, riaccenderne il boato, avrebbero storie bellissime da raccontare.
Storie di un calcio che non c'è più e che molti di noi non hanno mai visto. Se fosse possibile, per una volta, far rivivere gli stadi perduti...



L'ARENA DI MILANO
II sogno di Napoleone
Costruito nel 1805, è il più antico impianto d'Italia e ha tenuto a battesimo la Nazionale. Ma prima delle giocate di Meazza ospitava corse di bighe e serate danzanti. E persino battaglie navali...
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E il più antico stadio d'Italia. Più antico del calcio, persino. Quando Napoleone (capito bene, Napoleone Bonaparte) diede incarico all'architetto Luigi Canonica di mettere mano al progetto di un'arena, aveva in mente - con la modestia che gli era abituale - di ricreare le atmosfere perdute degli anfiteatri romani. E l'Arena Civica di Milano, inaugurata nel 1805, tenne fede alle aspettative dell'Imperatore. Così, tra i marmi bianchi e i colonnati neoclassici trovarono degna ambientazione parate militari, corse di bighe e addirittura naumachie, vere e proprie battaglie navali, possibili grazie all'allagamento della cavea centrale.

Dopo la Restaurazione, gli austriaci non disdegnarono il lascito napoleonico. Che nelle notti invernali si trasformava in un'enorme salone delle danze a cielo aperto in grado di ospitare favolose feste sul ghiaccio a ritmo di valzer. Solo agli albori del Novecento l'Arena diventa teatro di avvenimenti sportivi: il 30 maggio 1909 il primo giro ciclistico d'Italia approda proprio a Milano ed è l'Arena a incoronare il vincitore, Luigi Ganna. Un anno dopo, il 15 maggio 1910, scende in campo per la prima volta una rappresentativa Nazionale di calcio: la commissione tecnica della Federazione convoca 22 giocatori e sceglie i titolari nella maniera più semplice. Partitella a ranghi misti: chi vince gioca il match vero, che vede i "bianchi" (l'azzurro doveva ancora venire) opposti alla Francia. Partita senza storia: l'Italia vince 6-2 e i quattromila presenti applaudono l'eroe del giorno, il milanista Lana, autore di una tripletta.
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Nel frattempo, a Milano il pallone comincia a rimbalzare in direzioni opposte: da una parte il Milan, dall'altra l'Internazionale, fondata nel 1908 proprio da un gruppo di milanisti dissidenti. I due club hanno i rispettivi campi e non utilizzano lo storico impianto napoleonico, giudicato fin troppo imponente per un gioco che all'epoca non richiamava ancora le grandi folle. Ma l'Inter, che ha il suo quartier generale prima in Ripa Ticinese e poi in via Goldoni, si trasferisce all'Arena per le partite più importanti. E anche quando, nel 1926, viene costruito il grande e moderno stadio di San Siro (capace di 35.000 posti), l'Ambrosiana - come venne ribattezzata durante il regime -
continuerà ad alternare l'Arena al Campetto di via Goldoni, lasciando il colosso di fuori porta ai cugini rossoneri. Potere della superstizione, come no: quando, l'8 dicembre 1929, la Triestina batte a sorpresa i nerazzurri all'Arena, Meazza e compagni rifiutano anche il vecchio stadio di Napoleone.
D'ora in avanti - dicono — giocheremo solo in via Goldoni. Peccato che sei mesi dopo, il 15 giugno 1930, durante una partita col Genoa il crollo improvviso della tribuna causi il ferimento di un centinaio di persone e renda indisponibile anche la vecchia tana nerazzurra. Resta da giocare l'ultima gara interna di un campionato che sta per consacrare proprio l'Inter campione d'Italia. Ma si può tornare all'Arena per un match tanto delicato che non si può. Meglio accettare l'invito dei cugini ed esordire sul terreno di San Siro. Scelta giusta: il 2-0 sulla Juve vale il terzo scudetto.

Debitamente ristrutturata, l'Arena torna di moda nel 1933. Il 6 ottobre l'Ambrosiana prende in gestione l'impianto, impegnandosi a versare al comune di Milano il 5% dell'incasso di ogni partita più cento lire al giorno «quale contributo per le spese di riscaldamento delle docce e degli spogliatoi». L'Inter - messe da parte le superstizioni - ritrova il suo covo, dove rimarrà per tredici anni, fino al 1947, vincendo altri due scudetti e una Coppa Italia. Poi, inevitabile, il nuovo trasloco a San Siro.

Da allora l'Arena ha vissuto rari giorni di gloria: ha riassaporato l'atmosfera del grande calcio nel 1986, quando proprio in quel contesto hi presentato (con tanto di elicotteri ed effetti speciali) il primo Milan di Berlusconi. Intitolata al grande Gianni Brera nel 2002, attualmente è sede delle gare interne dell'Amatori Milano, storico club rugbistico cittadino.
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IL FILADELFIA DI TORINO
II campo dei miracoli
Lo stadio che ospitò le imprese di Valentino Mazzola e del Grande Torino resta il luogo sacro del tifo granata, anche oggi che è stato demolito. Il sogno è di riportarlo a nuova vita
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La tromba di Bormida, il capostazione, e le maniche di Valentino Mazzola, il capitano. Se è vero che le leggende si alimentano anche di piccole cose, quella del Grande Torino e del suo tempio, il Filadelfia, ha i colori vivaci delle immagini semplici. Dicono quelli che hanno potuto respirare l'aria elettrica del Filadelfia che la magia stava tutta in un quarto d'ora: la gente arrivava per tempo, si sistemava sulle gradinate spartane della "Fossa dei Leoni" e aspettava. Aspettava il quarto d'ora del Grande Toro, miracolo seriale, sacrificio inevitabile dei malcapitati avversari. Due lampi preannunciavano la tempesta: prima il capostazione suonava la carica mentre il mormorio dei trentamila si trasformava in silenzio d'attesa. Poi il capitano si rimboccava le maniche.

E allora capivano tutti: i giocatori granata, che cambiavano pelle. Gli avversari, che mandavano giù e si preparavano al peggio. I tifosi, che pregustavano il gran sabba. Tra il 31 gennaio 1943 (Torino-Juventus 2-0) e il 23 ottobre 1949 (Torino-Milan 3-2) il Toro giocò al Filadelfia 88 partite di campionato: ne vinse 78, ne pareggiò 10. Non perse mai. E quando arrivò la prima sconfitta, la squadra dei record non c'era più, cancellata di colpo nella più straziante tragedia che lo sport italiano ricordi: il disastro aereo di Superga.
Il Filadelfia e il Grande Torino sono stati una cosa sola: non a caso il tempio non è sopravvissuto più di un decennio alla scomparsa dei suoi sommi sacerdoti. Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Castigliano, Rigamonti, Grezar, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola: l'invincibile squadra dei cinque scudetti era anche l'anima della Nazionale. Dopo la loro morte, anche la tromba del Filadelfia tacque per sempre.
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La storia era cominciata il 17 ottobre 1926. Per il match contro la Fortitudo Roma il Toro si trasferisce dal campo di Corso Sebastopoli al nuovo stadio, costruito a tempo di record (poco meno di un anno) per iniziativa dell'allora presidente, Marone, anche per rispondere alla Juve che da quattro anni si era stabilita nel nuovo impianto di Corso Marsiglia. Il progetto dell'ingegner Gamba era innovativo: nasceva uno stadio esclusivamente dedicato al calcio, con le tribune incollate al rettangolo di gioco. Capienza: 35.000 spettatori. Il nuovo stadio porta decisamente bene: la prima stagione disputata al Filadelfia si chiude col Torino campione d'Italia per la prima volta nella sua storia. Titolo revocato, però: lo scandalo
Allemandi annulla il trionfo e costringe i granata a concedere il bis. Al termine della stagione '27-28 il Toro è ancora lassù e stavolta lo scudetto è assolutamente regolare.

La Nazionale sbarca per la prima volta al Filadelfia il 17 aprile 1927 per un'amichevole col Portogallo (3-1), ma il match memorabile è un altro: 13 dicembre 1931, di fronte Italia e Ungheria in una gara valida per la Coppa Internazionale, una specie di campionato europeo dell'epoca. C'è un solo torinista in campo (Li-bonatti) e ben sei juventini. Poco male: per una volta la buona stella del Filadelfia assiste anche i cugini. Apre proprio Libonatti, ma a inizio ripresa pareggia l'ungherese Avar. Passano tre minuti appena e Orsi fa 2-1, ma non basta, perché quel diavolo di Avar trova ancora il gol del pari. 2-2: finisce così? Sembrerebbe, visto che ormai il cronometro fa novanta. Ma è qui che si colloca un'impresa destinata a passare dai campi da calcio alla galleria dei luoghi comuni. Proprio al 90' lo juventino Renato Cesarini trova il gol della vittoria. Da allora tutti le reti in extremis saranno segnate in "zona Cesarini".

Dieci anni dopo il Filadelfia sarebbe diventato la Fossa dei Leoni, quei leoni granata che dominarono l'Italia del pallone tra il 1943 e il 1949. Poi, di colpo, si spense la luce, sul Torino e, lentamente, anche sul Filadelfia. Nel 1959 i granata scivolarono addirittura in Serie B: troppo per il campo dei trionfi. Che vide l'ultima partita il 5 giugno 1960 (Torino-Modena 3-1), prima di avviarsi a un lento e malinconico disfacimento. Nel 1997 le ruspe hanno demolito gran parte delle tribune e da allora i torinesi aspettano che il Filadelfia risorga per essere la tana dei leoni di domani. Non era, non sarà mai un campo qualsiasi.
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Edited by Zeman! - 1/11/2010, 12:45
 
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IL TESTACCIO DI ROMA
Asso di cuori

I giallorossi ci hanno giocato solo undici anni, dal '29 al '40. Eppure di quel piccolo stadio all'inglese, completamente in legno, con le tribune dipinte di giallo e rosso, resta un ricordo indelebile
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Tra via Monte de' Cocci e via Zabaglia, a Roma, oggi ci sono un'officina e una rimessa per camion. Sessant'anni fa - chissà se lo sanno i meccanici che lavorano lì - c'era il cuore della Roma. Il campo di Testaccio non richiama alla memoria dei romanisti trionfi strepitosi: il primo scudetto giallorosso arrivò nel 1942 quando ormai la Roma giocava allo stadio del PNF. Eppure, resta un luogo epico, come accade spesso alle cose che si possono solo raccontare. Qualche rara foto, pochi ritagli ingialliti dei gionali dell'epoca e poi soltanto i ricordi dei vecchi: Ferraris IV e Bernardini, le tribune di legno dipinte di giallo e di rosso, la sagoma della chiesetta di Testaccio sullo sfondo. Lì, su quel campo, è nata la Roma e forse è per questo che nessuno lo ha dimenticato.

Era stato tale Foschi, presidente della Fortitudo a comprare il terreno e ad avviare il progetto. Progetto insolito, all'inglese: uno stadio di proprietà del club, concepito esclusivamente per il calcio. L'ingegner De Bernardinis, cui fu affidata la realizzazione dell'opera, confessò che si sarebbe ispirato allo stadio del Liverpool, niente meno. I lavori cominciano nell'estate del 1928, quando la Fortitudo si è ormai fusa con Alba e Roman per dare vita alla Roma. Sarà la nuova società ad ereditare lo stadio che viene ultimato in quindici mesi al costo di 1.647.161 lire dell'epoca.
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Ventimila posti, interamente in legno, Testaccio debutta il 3 novembre 1929: Roma-Brescia 2-1. Il primo gol lo segna il fiumano Rodolfo Volk, che con 42 reti sarà il marcatore più prolifico nella storia dello stadio. Due anni dopo, il 15 marzo 1931, il giorno di gloria: scende a Roma la Juve capolista e i giallorossi si scatenano. Finisce 5-0 con doppietta di Fulvio Bernardini e gol di Lombardo, Volk e Fasanelli. Un risultato talmente sensazionale da ispirare un film (Cinque a zero, appunto) in cui alcuni giocatori della Roma recitano come comparse.

Campo caldo, quello di Testaccio. La Lazio dovrà aspettare dieci anni prima di espugnarlo: il 2-0 del 15 gennaio 1939 fu l'unica vittoria biancoceleste sul campo della Roma. Che in quel periodo, però, cominciava a scricchiolare, e non in senso metaforico: le tribune ondeggiavano in modo sinistro quando la folla esultava. Nel 1938 viene demolito e ricostruito in cemento il settore dei distinti, ma il restauro non basta. Gli altri settori restano pericolanti e ventimila posti sono sempre troppo pochi per contenere il popolo romanista. Così, il 2 giugno 1940 va in scena l'ultimo atto della struggente commedia umana ambientata a Testaccio: Roma-Novara 3-1. Poi toccherà al più moderno e capiente stadio del PNF ospitare le imprese dei giallorossi, mentre in due giorni - in soli due giorni - Testaccio viene demolito. Resta l'officina, il deposito per i camion e l'eco sempre più lontana di antiche passioni. Come se il cuore della Roma battesse ancora.
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IL COMUNALE DI TORINO
L'eroe dei tre mondi

Costruito per i Mondiali del 1934, è andato "in pensione" alla vigilia di quelli del '90 prima di rinascere a vita nuova per le Olimpiadi Invernali del 2006: da Orsi a Platini a Del Piero, ha visto cambiare il calcio.
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Da Orsi a Platini a Del Piero. La storia del Comunale di Torino è racchiusa tra le imprese, così lontane nel tempo eppure così simili nella portata, di tre grandi campioni. Quando fu costruito, nel 1933, la Juventus stava completando un ciclo sensazionale. Aveva cominciato a vincere nel 1931 e non si era fermata più: campione d'Italia anche l'anno successivo, nel 1933 aveva lasciato l'Ambrosiana-Inter indietro di otto punti. L'approdo al nuovo stadio era stato festeggiato con altri due scudetti: in tutto, cinque di fila. In porta c'era l'intramontabile Combi, con Rosetta e Caligaris terzini e Monti centromediano. In prima linea Cesarini, Borel, Ferrari e, appunto, Orsi.

Lo stadio Comunale, allora intitolato - con somma originalità - a Benito Mussolini, era lo scenario più adatto per le mirabolanti imprese della Signora. Edificato in previsione dei Mondiali del 1934, era il più imponente del Paese, con una capienza di 65.000 posti. Un bel cambio di prospettiva per una squadra abituata alle anguste tribune del Campetto di via Marsiglia. «La vasta costruzione» precisava un comunicato ufficiale dell'epoca «è tutta in cemento armato e sorge nel mezzo di un campo sportivo, ove sono altri terreni di gioco, piscine, palestre. L'architettura è di stile razionale».
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C'erano quasi sessantamila persone, l'11 febbraio del 1934, per l'esordio della Nazionale nel nuovo impianto: esordio sfortunato contro il Wunderteam austriaco che passeggia (4-2) sugli azzurri di Pozzo. Poco male: l'Italia si rifarà pochi mesi dopo nella semifinale mondiale, avviandosi a vincere la Coppa Rimet. Un Mondiale, quello del 1934, nel quale Torino recita una parte secondaria. Al Comunale si giocano un ottavo (Austria-Francia 3-2) e un quarto (Cecoslovacchia-Svizzera 3-2): per la finale di consolazione viene preferita Napoli.
Saranno comunque altre le pagine memorabili nella lunga storia del Comunale:
Umiliata dall'Inghilterra (0-4), proprio a Torino nel 1948, l'Italia sullo stesso campo saprà prendersi la rivincita sui Maestri in due occasioni. Nel 1973 un 2-0 in amichevole firmato da Anastasi e Capello. Sette anni dopo agli Europei è un gol di Tardelli a regalare agli azzurri una vittoria decisiva. Se la Juve si era accasata fin dall'inizio nel nuovo stadio, il Torino abbandonerà il Filadelfia solo nel 1960. Da allora il Comunale diventerà l'unico teatro dei derby. Storici quelli del '75-76, quando con un doppio 2-0 alla Juve, il Toro strappa ai bianconeri, campioni in carica, i punti necessari per bruciare i cugini nello sprint scudetto.

Dai gol di Bettega alle giocate di Platini: negli anni Ottanta la Juve continua a vincere (nel 1986 arriva anche la prima Coppa dei Campioni), mentre il Torino scivola irrimediabilmente verso la Serie B. E il vecchio stadio di tanti trionfi, nato per un Mondiale, viene mandato in pensione da un altro Mondiale, quello del 1990, che porta in dono alla città di Torino il freddo e scomodo Delle Alpi, sgradito ai tifosi e alle due società.

La terza vita del Comunale arriva in occasione delle Olimpiadi Invernali di Torino del 2006. Il progetto di ristrutturazione, affidato a due studi di architettura veronesi Giovanni Cenna Architetto e Arteco, ha conservato le strutture esistenti, sottoposte al vincolo della Sovrintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, ed ha aggiunto nuove strutture verticali per reggere la copertura di tutto l'impianto, e un terzo anello di gradinate, continuo e strutturalmente collaborante alla copertura. Dalla stagione 2006/07 Juventus e Torino sono ritornate a giocare nel "nuovo" stadio, ora chiamato Olimpico.
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978azzurro978
view post Posted on 1/11/2010, 18:29




Belle queste pagine di stadi che furono!
 
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view post Posted on 5/11/2010, 12:52
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Lo stadio di Novara costruito nel 1931, l'impianto conosciuto come Stadio littorio che ha visto i migliori anni della storia Novarese e dove ha giocato l'ineguagliabile Silvio Piola.
Nel pomeriggio dell’11 gennaio 1976, il vecchio stadio di viale Alcarotti di Novara (prima Littorio poi Comunale) chiuse i battenti, lasciando come ricordo i dodici campionati di Serie A disputati dal Novara.

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Curiosità storiche - Stadio di Novara

State lontani dallo stadio” raccomandavano le mamme preoccupate. “Non avvicinatevi per nessun motivo, è pericoloso”.

– La guerra -sono passati più di 60 anni- ha mostrato anche aspetti curiosi, inconsueti, comunque terribili.
Lo stadio comunale di via Alcarotti fu trasformato, per alcuni giorni del 1945, in un campo di concentramento


Per esempio, dal 28 aprile 1945 al 20 maggio dello stesso anno, lo stadio comunale di Novara, dove solitamente si giocava a calcio, venne trasformato di botto in un campo di concentramento!
Il Torneo benefico lombardo, allora in piena attività, era stato opportunamente sospeso, causa l’incalzare degli eventi. La progressiva ineluttabile ritirata delle truppe tedesche, l’avanzata irresistibile delle armate Alleate, le continue scorribande dei partigiani che fra il 25 e 26 aprile 1945 si impadronivano delle principali città del Nord, avevano determinato una situazione nuova, attesa in maniera angosciosa ma anche con tanta speranza dalla popolazione.

Era la Liberazione, che sarà tradizionalmente festeggiata il 25 aprile.

Successe che un folto gruppo di fuggiaschi, 1700 persone circa, si era formato a Vercelli nella giornata del 26 aprile. Guidava questa colonna il prefetto di Vercelli Michele Morsero. La componevano in prevalenza ufficiali e soldati di battaglioni della Repubblica Sociale Italiana, oltre a qualche persona convolta con il fascismo repubblicano, qualche famiglia con donne e bambini (pochi). L’idea era quella di raggiungere il ridotto nella Valtellina dove si vociferava fosse stata organizzata l’ultima resistenza del fascismo morente.

La colonna non attraversò Novara, che era già in mano ai partigiani di Moscatelli. Fece un giro più largo con l’intenzione di passare il Ticino sul ponte di Oleggio. Ma a Castellazzo Novarese, la colonna Morsero fu intercettata e bloccata da gruppi di partigiani che ormai presidiavano tutta la provincia novarese. Era il 27 aprile 1945, e i fuggiaschi furono tenuti sotto controllo nel vetusto castello di Castellazzo, diventato fattoria contadina.

Il giorno dopo, il 28 aprile, fu deciso di trasferire tutta la colonna a Novara, a piedi, lungo la strada della Valsesia. I prigionieri -perchè ormai erano considerati come tali- vennero fermati in largo san Martino e lungo la via Pietro Micca, in attesa di trovare una soluzione che si presentava ardua e non facile. Infatti, le carceri del Castello Sforzesco erano stracolme, e poi il volume della colonna Morsero (1700 uomini circa) era tale da preoccupare.

“Dove la mettiamo tutta ’sta gente?”

Michele Morsero

Michele Morsero, fotografato poco prima di essere fucilato

Alla fine si trovò una soluzione di emergenza ma efficace. La colonna Morsero venne raggruppata nello stadio comunale dove il Novara giocava le sue partite di calcio; le donne e le famiglie invece trovarono rifugio presso l’asilo e le scuole elementari di San Martino. Un altro gruppo di fuggiaschi fu portato alle scuole Ferrandi.

Quello che accade in quei venti giorni di prigionia è narrato in un bel volume scritto dal milanese Pierangelo Pavesi che, a suo tempo, ha intervistato alcuni dei superstiti di quei giorni terribili.
Alcuni prigionieri furono prelevati dallo stadio e portati alla morte, con documenti di prelievo spesso fantomatici; qualche cadavere galleggerà nei giorni successivi nelle acque del canale Cavour.
Un folto gruppo di circa cento persone, con il prefetto Morsero, verrà condotto a Vercelli e condannato a morte nel manicomio di quella città con una tremenda carneficina.
Alcuni prigionieri riuscirono nottetempo a scavalcare le mura di cinta dello stadio.

Accadde di tutto in quei venti giorni post-Liberazione.

Lo stadio di calcio del Novara fu ridotto in condizioni pietose dagli oltre mille prigionieri fascisti, che potevano disporre soltanto di tre gabinetti e di altri servizi molto precari. Mancava anche l’acqua, mentre un po’ di cibo sommario (pane e gorgonzola) fu distribuito ai prigionieri da alcune donne novaresi guidate da Rina Musso che aveva attinto le provviste grazie all’organizzazione del Vescovo Leone Ossola (la cosiddetta “Carità del Vescovo”).

I partigiani vigilavano sui prigionieri con alcune mitragliatrici piazzate sulle tribune e sulle gradinate popolari, mentre l’intera cinta dello stadio era stata attrezzata con robusto filo spinato.

A noi ragazzi, che abitavano nei pressi dello stadio, era stato proibito di avvicinarsi all’impianto sportivo. In ogni caso, guardavano quel che si poteva vedere dall’alto del mercato coperto, dalla parte della via Marconi. E non era certamente un bello spettacolo.

In quei venti giorni di disastro furono distrutti gli archivi cartacei di Novara calcio, Sparta e Pro Novara che avevano le loro sedi sotto le tribune e le gradinate. Anche tutti i servizi e il campo da gioco, dopo l’evacuazione di tutti i prigionieri verso altri campi allestiti dagli Alleati, apparivano in uno stato pietoso.

La prigionia finì il 20 maggio, e ci volle del tempo per ripulire lo stadio comunale di Novara da tutte gli escrementi e i rifiuti che si erano accumulati in quei giorni di internamento.

Quello stadio, inaugurato nel 1931, teatro di gioiosi e appassionati spettacoli sportivi di calcio, ciclismo, atletica leggera, ginnastica, equitazione, aveva subito l’oltraggio di trasformarsi, suo malgrado, in campo di concentramento.

I tempi erano quelli. Dopo il risanamento dello stadio, tutti ci rallegrammo quando il Novara calcio potè concludere il suo torneo lombardo battendo nettamente la squadra del Meda, con tre gol di Silvio Piola. Il calcio, lo sport, erano tornati padroni del campo di calcio. E questa fu una bella notizia. La guerra era veramente finita.
 
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view post Posted on 5/11/2010, 15:09
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balcan123 grazie per aver arricchito questa sezione
:)
 
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Matxyzt
view post Posted on 5/11/2010, 15:16




Uso materiale tratto da questo gruppo di facebook fondato da WEB: ✮ AMO EMPOLI ✮ Orgogliosi di essere Empolesi ✮ , sperando che non sia già stato postato altrove.

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1936 - Stadio Martelli di Empoli (prima del Carlo Castellani nella zona Sportiva)

Era in via Masini angolo Via Russo:
- le attuali Poste sono di fronte a dove si vede la tribuna coperta, via Russo adesso costeggia quel muro che ha lasciato il posto alle case.
-dove è il muro con il cancello di entrata con la scritta Dux ora c''è via Masini.

-Attualmente si può vedere ancora un pezzo del muro opposto a quello che era in via Masini (diciamo lato ipotetica Curva Nord), dove passa la statale 67, un pezzo di muro che guarda il nuovo stadio Castellani a testimoniare il ricordo del vecchio stadio. Sii trova nella piazzetta all'altezza del dosso pedonale per andare sulla nuova passerella.
Sono sicuro che a molti di voi era sfuggito questo pezzo di muro del vecchio stadio.

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Derby degli anni '50 EMPOLI - FUCECCHIO
Tifosi azzurri al vecchio Castellani in Via Masini (nella tribuna coperta situata all'incirca di fronte a dove sono le Poste adesso).
 
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S' ostina
view post Posted on 6/11/2010, 13:32




In questa sezione secondo me sarebbe bello mettere le foto di altri 4 stadi storici:

1) Il Grezar di Trieste;
2) L' Appiani di Padova;
3) Il Dorico di Ancona;
4) Il Moccagatta di Alessandria;
 
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Matxyzt
view post Posted on 6/11/2010, 14:26




CITAZIONE (S' ostina @ 6/11/2010, 13:32) 
In questa sezione secondo me sarebbe bello mettere le foto di altri 4 stadi storici:

1) Il Grezar di Trieste;


CITAZIONE (S' ostina @ 6/11/2010, 13:32) 
2) L' Appiani di Padova;




CITAZIONE (S' ostina @ 6/11/2010, 13:32) 
3) Il Dorico di Ancona;


CITAZIONE (S' ostina @ 6/11/2010, 13:32) 
4) Il Moccagatta di Alessandria;



X Zeman!: come si fa a impostare le dimensioni delle immagini?

Edited by Zeman! - 6/11/2010, 20:34
 
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view post Posted on 6/11/2010, 20:17
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CITAZIONE (Zeman! @ 5/11/2010, 15:09) 
balcan123 grazie per aver arricchito questa sezione
:)

di niente è stato un piacere :sciarpa:
 
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view post Posted on 6/11/2010, 20:36
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un altro da ricordare è quello di Vercelli prima RObbiano dal 1996 Silvio Piola, testimone di un calcio che non c'è più
Ricordo che la Pro Vercelli, seppur nostra acerrima rivale, ha vinto ben sette scudetti

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view post Posted on 27/7/2011, 17:41
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Padova: sarà demolita una parte della gradinata Est dell’Appiani
Stadio-Appiani-243x162
PADOVA / Sarà demolita in parte e per i padovani, l’idea di violare il tempio del calcio biancoscudato non sarà facile da digerire. Giù la gradinata Est dello stadio Appiani. E’ quella in cemento armato. Giù anche la palazzina che ospita la federazione ciclismo. Lavori al via dal primo agosto per la realizzazione di un parcheggio temporaneo per 33 pullman e 190 posti auto. E’ il primo passo degli interventi previsti in piazza Rabin i cui progetti esecutivi sono stati deliberati in Giunta in queste ore. “A gestire il parcheggio per i prossimi 24 mesi – spiega l’assessore ai lavori pubblici Luisa Boldrin – sarà Aps Holding che si fa carico anche del maggior peso dell’investimento”.
Seimila euro il costo a carico di Palazzo Moroni per il primo intervento. Aps invece investirà 315.000 euro. Per gli storici ultras del Calcio Padova ci sono comunque buone notizie. L’impinanto sportivo nel centro della città alla fine porterà al recupero di centinaia di posti sugli spalti. L’Appiani attualmente conta 800 posti e al termine dei lavori di ripristino dell’aspetto originario ne aggiungerà circa 300.

26 luglio 2011 cronacalive.it
 
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view post Posted on 22/2/2012, 07:52
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Il Newcastle cambia il nome allo stadio?
Un tifoso ridipinge il vecchio nome e viene arrestato: "Lo rifarei, è il 'St.James Park' è storia"

"La gente su Facebook chiedeva che qualcuno andasse a mettere una nuova insegna e io mi sono detto: ‘perche no?’. Ho deciso di fare la mia parte e parlare in nome di tutti".

di Matteo Civillini
Un ventinovenne disoccupato di Newcastle è stato arrestato questa mattina con l’accusa di aver danneggiato una parete esterna dello stadio appartenente alla squadra locale. Il reato commesso dall’irriducibile tifoso bianconero sarebbe quello di aver dipinto con della vernice bianca lo storico nome del campo da gioco cittadino, St. James’ Park.
La sua azione è una chiara protesta nei confronti della decisione presa dalla società Newcastle United di rinominare lo stadio ‘Sports Direct Arena’, sperando di generare in questo modo oltre 10 milioni di sterline di ricavi pubblicitari.
Vendere i diritti del nome dello stadio è astuta trovata che già numerosi club in tutto il mondo hanno abbracciato per ovviare agli attuali problemi finanziari. Cionostante, il supertifoso Michael Atkinson ha interpretato la scelta della dirigenza come un’offesa alla storia del club e della città.
Il presunto ‘vandalo’ ha dichiarato al tabloid inglese Daily Mail: “Ieri pomeriggio ho sentito su Facebook che gli operai stavano rimuovendo l’iscrizione all’entrata dello stadio St. James’ Park è un nome storico, e invece Mike Ashley (il proprietario) pensa solo a promuovere la sua attività commerciale. La gente su Facebook chiedeva che qualcuno andasse a mettere una nuova insegna e io mi sono detto: ‘perche no?’. A quel punto ho deciso di fare la mia parte e parlare in nome di tutti i tifosi del Newcastle".
Parlando dell’inevitabile arresto avvenuto immediatamente sul posto, Atkinson ha aggiunto: “Sapevo che sarei stato fermato dalla polizia per quell'azione, ma ciò non mi interessava. Senza dubbi lo rifarei un'altra volta. Ashley non puo’ permettersi di trattare i tifosi in questo modo".
Il club, che non ha voluto commentare l’incidente, annuciò il cambio di nome lo scorso Novembre, mettendo fine a quasi 120 anni di storia. Nonostante il consiglio comunale abbia più volte assicurato che il vecchio nome verra’ ancora utilizzato, da allora i supporters locali hanno inscenato numerose azioni di protesta.

goal.com
 
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view post Posted on 20/3/2012, 17:22
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Maracanã addio
mio articolo da TORO NEWS del 20 marzo 2012

Nell’ambito delle opere di ammodernamento di alcuni stadi brasiliani in vista dei Mondiali del 2014 e altre manifestazioni sportive dei prossimi anni si sta compiendo l’ennesimo scempio. Uno degli impianti più gloriosi e tradizionali al mondo, il Maracanã, è stato infatti sventrato e lo si sta ricostruendo seguendo un progetto che a lavori ultimati ne renderà irrimediabilmente evidente lo sfregio.
L’impatto che stanno avendo le immagini di come sarà il nuovo Estádio Jornalista Mário Filho, già di per sé traumatiche, non sono nulla rispetto allo choc che sicuramente si avrà di fronte all’impianto finalmente edificato. Un’esperienza simile la si è già vissuta con Wembley, le cui Twin Towers erano state abbattute per lasciare il palcoscenico a un gigantesco arco alto quasi 350 metri che sarà pure visibile da decine di chilometri di distanza ma sinceramente non trasmette niente oltre all’orgoglio comunque tutto da verificare per questo primato ingegneristico regalato all’Inghilterra. Sotto di esso, oltretutto, ci sono adesso spalti simili a quelli di tanti altri stadi e nel complesso una struttura pesante, massiccia, che non ricorda nemmeno lontanamente quella del vecchio impianto – il cui pregio stava anche nel non togliere il ruolo centrale al campo di gioco nonostante intorno ed esso potessero arrivare a trovar posto fino a 120.000 persone.

Stessa perdita di appeal patirà ora il povero Maracanã. La violenza più evidente che ha dovuto subire è l’abbandono dei classici e inconfondibili due enormi anelli in favore di uno unico, interrotto parzialmente solo sui lati lunghi – anche se non per un richiamo seppur minimo al passato ma esclusivamente in ragione della presenza di decine di box e suite. Per il resto, sarà una specie di Luzhniki di Mosca, o di Olimpico di Roma dopo i lavori per Italia ’90 quand’era toccato ai tifosi della capitale italiana piangere la perdita di uno stadio dalla struttura particolare, i colori tenui che ricordavano quelli dell’adiacente Stadio dei Marmi e l’armonia col Foro Italico e Monte Mario, con cui faceva un tutt’uno. Paradossalmente, come il nuovo Olimpico romano avrebbero semmai fatto meglio a ricostruire Wembley… Perché la moderna bellezza non si discute, per quanto anonima possa essere, ma la fedeltà o meno ai vecchi modelli è decisiva e il Maracanã non lo si sarebbe dovuto violentare. Va da sé, poi, che adesso tutti i posti saranno a sedere. Anche questa, che pure è una risoluzione legata alle nuove norme sulla sicurezza degli impianti, è comunque uno stravolgimento rispetto al passato e lo è ancor più in ragione della simbolicità di questo stadio: non per niente in occasione della precedente ristrutturazione, quando già erano stati ampliati i settori coi seggiolini, era stata mantenuta tutta una zona a ridosso del campo per il pubblico che volesse restare in piedi.

A sottolineare gli effetti nefasti di quella che alcuni hanno definito una dimostrazione di servitù nei confronti della FIFA è stato soprattutto l’ex giocatore Romario, ora deputato. E’ un tipo che non va per il sottile, ‘o Baixinho’. Clamorosamente escluso dalla Nazionale alla vigilia di Francia ’98 ufficialmente perché ritenuto impossibilitato a recuperare da un leggero infortunio (che si sarebbe invece lasciato alle spalle in poche settimane) ma sembra ormai appurato per attriti col CT, dopo aver pianto di fronte al mondo per una delusione di siffatte proporzioni non si fece problemi a ridicolizzare i responsabili di questa scelta che erano appunto Zagalo e con uno dei suoi assistenti, niente meno che Zico: decorò così due porte dei servizi del suo locale a Rio de Janeiro con immagini che ritraevano il primo seduto sul water coi pantaloni calati e il secondo tenendo in mano un rotolo di carta igienica. Seguirono denunce, processi e condanne, ma il punto è che quando c’è da farsi sentire Romario non ha indugi e quando di mezzo c’è il suo Brasile, quello della gente, la sua dedizione è assoluta. Sul nuovo Maracanã, molto semplicemente, ha detto che non avrà più niente a che fare con quello vecchio e che con l’avvento dei nuovi spalti oltre a commettere un vero e proprio oltraggio alla storia si perderà per sempre la mistica.

Per capire a cosa si riferisca Romario va sottolineato cos’è il Maracanã per il Brasile. Fu costruito in occasione dei Mondiali del 1950, i primi del secondo dopoguerra, e nelle intenzioni di tutti i brasiliani avrebbe dovuto essere il palcoscenico per un trionfo planetario, il raggiungimento di un’eccellenza da non abbandonare più. La traumatica sconfitta in finale contro l’Uruguay di fronte a 200.000 persone sortì nelle proporzioni, benché in senso inverso, lo stesso effetto che ci si aspettava della vittoria che mai arrivò. La tragedia assunse i contorni di un lutto tant’è vero che, al di là di alcuni suicidi che realmente avvenirono, si decise addirittura di abbandonare la tradizionale tenuta bianca della Nazionale per adottare quella verde-oro. In questo modo si provò a cancellare l’accaduto dalla memoria collettiva. Non può quindi non colpire come il Maracanã sopravvisse a quelle risoluzioni – e deve conseguentemente fare riflettere che ora, senza nemmeno più un nuovo brutto ricordo di cui sbarazzarsi ma anzi col peggiore possibile ormai metabolizzato o meglio accettato da anni, si sia deciso di distruggere quel monumento.
Al Maracanã si sono tenuti anche moltissimi eventi extracalcistici di primissimo livello. Da concerti mitici tanto quanto, non a caso, quelli del vecchio Wembley, a manifestazioni religiose; i nomi di Frank Sinatra, Paul McCartney e papa Giovanni Paolo II sono sufficienti da soli a testimoniarne l’importanza, anche se in fatto di pubblico (altro dato imprescindibile quando si parla di questo colosso) quello che fra tutti ha fatto registrare più presenze è un concerto dei Kiss del 1983 a cui parteciparono ben 250.000 persone. Limitandosi invece, per così dire, al calcio, con la scomparsa del vero Maracanã se ne vanno anche i riferimenti visivi e diretti a momenti storici del calcio mondiale. Su tutti il gol numero 1000 segnato da Pelé, realizzato su rigore nel corso del Vasco da Gama-Santos del 19 novembre 1969. Sempre lì Pelé giocò il suo ultimo incontro con la Nazionale, il 18 luglio 1971. Nel suo piccolo, per tutti gli italiani che hanno potuto intuirne l’atmosfera solo attraverso i filmati, addio anche alla cornice del rigore calciato da Beppe Grillo per ‘Te lo do io, il Brasile’: un riferimento sciocco ma importante al tempo stesso pensando agli anni a cui risale, quelli del mitico Flamengo che lì giocava le sue partite importanti e poteva contare su campioni quali Zico (detentore del record assoluto di reti segnate su quel campo, addirittura 333) ma anche Edinho, tra l’altro entrambi futuri giocatori dell’Udinese, e Leo Junior che invece sarebbe diventato un idolo del Torino prima e del Pescara poi. Allora, dire Maracanã era dire ‘Brasile’ cioè ‘calcio’, non importa se i verde-oro non avevano vinto Spagna ’82 e dopo Messico ’70 avrebbero dovuto aspettare USA ’94 per tornare sul tetto del mondo. La grandezza di quella Nazionale – e di quel paese – passava per i suoi simboli, fra cui proprio il Maracanã, a prescindere dai risultati; ma visto quel che è successo c’è da chiedersi se d’ora in poi sarà ancora così.

http://andreaciprandi.wordpress.com/2012/0...maracana-addio/
 
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view post Posted on 29/5/2012, 07:23
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800px-Stadio_menti_1935
vista dell'ingresso dello stadio romeo Menti di Vicenza nel 1935

Menti_1988
vista dell'ingresso dello stadio romeo Menti di Vicenza nel 1988


vista dell'ingresso dello stadio romeo Menti di Vicenza nel 2011


800px-Stadio_Menti_1935_bis
La tribuna coperta originaria in una foto della metà degli anni trenta, vista dall'attuale settore dei "distinti". Notare sulla destra l'ingresso al campo



La tribuna coperta in una foto degli anni sessanta



vista dello stadio del 2008

uno stadio che resterà per molto tempo nella testa dei tifosi azzurri.

Edited by Zeman! - 29/5/2012, 09:23
 
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view post Posted on 23/7/2012, 09:59
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RITORNO ALL’APPIANI, BIGLIETTI ESAURITI IN DUE ORE
PADOVA – Torna a battere il cuore calcistico della città, e con esso riesplode fragoroso il tifo biancoscudato. Per l’amichevole in programma domani alle 18 al glorioso stadio Appiani, i 1500 tagliandi gratuiti distribuiti questa mattina dalla società sono andati polverizzati in meno di due ore.
Il via al rilascio dei preziosi pass era fissato per le dieci in punto, ma già dalle 8.30 del mattino i primi temerari hanno cominciato ad appostarsi in viale Nereo Rocco per avere la certezza di non mancare al primo appuntamento del nuovo Padova di Fulvio Pea. Alle 9.00 erano già una trentina, ad ingannare l’attesa insieme allo storico tifoso, Sivori, scandendo cori di incitamento alla squadra. Alle 9.55 l’apertura delle porte del punto di distribuzione: la coda di persone in attesa raggiungeva ormai svariate decine di metri. Erano tra le duecento e le trecento unità, i biglietti di Tribuna Ovest sono andati volatilizzati in soli dodici minuti.
Superata la prima, frenetica fase, a poco a poco sono stati distribuiti anche tutti i tagliandi di Curva Sud, lato Marghera: alle 11.25 gli ultimi tre fortunati tifosi sono riusciti ad accaparrarsi le briciole di una mattinata nella quale il pubblico padovano ha dimostrato, una volta di più, l’attaccamento ai colori e l’amore mai tramontato verso lo stadio per eccellenza, quello di via Carducci.
Il ritorno del Padova all’Appiani è stato un vero e proprio evento, per pochi intimi visto che ormai lo storico impianto di via Carducci è in grado di ospitare solo 1.500 persone.
In programma ci sono altre due amichevoli, che faranno registrare sicuramente il “sold-out”. Ma soprattutto c’è la ristrutturazione dello storico impianto di Via Carducci, che dovrebbe essere portato a una capienza di 3.000 spettatori, e che consentirebbe al Calcio Padova di disputarci le amichevoli e gli allenamenti. Posso prevedere che in futuro la presentazione della squadra ed il primo allenamento stagionale si svolgeranno nello storico stadio di Via Carducci, e che ci sarà da fare a pugni per accappararsi il posto.
E se invece pensassimo a tornarci a giocare sul serio all’Appiani? Intendo, non solo le amichevoli ma proprio di far si che il Padova un domani torni a giocarci anche in campionato?
Voi mi direte che sono un pazzo, ma siamo seri: a chi di voi piace l’Euganeo? Ed ora che stiamo andando verso un’epoca di stadi privati, che interesse può avere un presidente ad investire su una causa persa come l’Euganeo? Dove ci sono da spendere venticinque milioni di euro per ricostruire le gradinate attorno al terreno di gioco senza la pista? E’ una causa persa l’Euganeo, e Cestaro l’ha capito… l’Appiani invece potrebbe essere l’affare del secolo! Ristrutturare lo stadio portandolo ad una capienza di 20.000 spettatori verrebbe a costare molto meno che sistemare l’Euganeo, ed il valore affettivo che i padovani danno al loro storico stadio potrebbe rappresentare un ritorno di tutto rispetto per la società biancoscudata.
Nel corso degli anni hanno fatto di tutto per inculcarci in testa il fatto che l’Appiani fosse uno stadio insicuro, perché costruito in pieno centro, in mezzo alle case. Ma si dimenticano che un tempo all’Appiani andavano 18.000 spettatori in C2, non i 7.000 che oggi vanno all’Euganeo. E non ti dicono che in Italia e nel mondo è pieno di stadi, anche celebri, costruiti in mezzo alle case. Basterebbe pensare ad Highbury o all’Emirates Stadium dell’Arsenal. Basterebbe pensare ad Anfield Road o a Stamford Bridge. Ma senza andare troppo lontano, basterebbe pensare a stadi come Parma, Modena, Siena. A Marassi. In tutti questi stadi si riesce a gestire la situazione, all’Appiani no?
Io penso che il futuro del Calcio Padova debba essere all’Appiani, perché quella è la sua vera casa. E sarei curioso di sapere quanti la pensano come me…

Postato il 20 luglio 2012 da La Padova Bene


APPIANI HOME: TU CHIAMALE, SE VUOI, EMOZIONI
“Io i nuovi stadi li butterei giù tutti. Sono stadi come l’Appiani ed il Menti che mi affascinano, dove senti battere il cuore della gente, la senti respirare. Quando giochi li non puoi non pensare dove sei. All’Appiani guardavo il terreno, l’erba e pensavo a Rocco, ad Hamrin, a Rosa. Non era solo uno stadio ma c’era storia, sentivi che palpitavano le cose.” (Ezio Vendrame)
Il 29 maggio 1994, quando uscii dallo Stadio Appiani per l’ultima volta, non mi resi conto subito di cosa significava. Si era appena disputato uno squallido (sul campo) Padova-Palermo 0-0, classica partita di fine campionato, ero abbastanza fuori dopo aver festeggiato il gemellaggio con i rosanero (proprio al Parco Appiani, dove ieri siamo partiti con il corteo) ed ero tutto preso dal farmi i conti circa la nostra situazione di classifica, con il Cesena clamorosamente sconfitto in casa dal Cosenza ed i biancoscudati ad un passo dalla serie A, ad una giornata dalla fine. All’Appiani non ci pensavo proprio. Anzi, nella mia ingenuità di ragazzino di nemmeno 18 anni ero convinto che ci saremmo abituati anche al nuovo stadio, e che proprio all’Euganeo avremmo vissuto i nostri momenti migliori…
Con gli anni, e dopo essermi reso abbondantemente conto di cosa in realtà avevamo perso, ci sono passato spesso, fermandomi ad osservare la zona ed a ricordare ciò che è stato. Perché comunque gli anni dell’Appiani, per me, hanno coinciso con l’età più bella della mia vita: quella fra i 15 ed i 18 anni! E ricordavo i miei viaggi in autobus, da adolescente con la corsa delle 13 d’inverno o delle 14,30 d’estate, ricordavo il chiosco di Santa Giustina ritrovo degli HAG e pieno di brutte facce (probabilmente è lo stesso effetto che facciamo noi ai ragazzini di adesso), ricordavo il mio itinerario preferito, da Via Facciolati a piedi attraverso i giardini di Santa Rita, il Marconi e sbucare dietro la Curva ospiti, schivando in svariate occasioni gli sgambetti degli udinesi, le astate dei reggiani o i calci in culo dei lucchesi, ricordavo i duemila bresciani che arrivavano in corteo o la lunga notte col Vicenza che segnò la fine degli HAG. Ma ricordavo anche Bistazzoni che si girava a parlare con i tifosi del parterre della Curva Nord, ricordavo Galderisi che quando il pubblico fischiava veniva a parlarti ed a dirti che non si faceva così perché la squadra andava aiutata, ricordavo le birre che volavano in campo e la Nord che crollava ad ogni gol, con giocatori e tifosi tutti arrampicati sulla rete a festeggiare. Altro che Argentina. E ricordavo “all’anice, alla menta, al limone, per tutta la partita!”. Ricordavo i “portoghesi” assiepati sui tetti delle case o sulla collinetta del Parco Appiani e tutti quelli che scavalcavano attraverso il Monti. Ricordavo lo spontaneismo, la “patavinità” che caratterizzava il tifo biancoscudato dell’epoca. All’Euganeo mi sembra di vivere in uno stadio di plastica, tutto finto, tutto artefatto, zero spontaneismo, zero tensione, zero di tutto…
Per anni abbiamo temuto che l’Appiani potesse essere abbattuto. Che tutto il patrimonio che si portava dietro in termini di emozioni, di socialità, di aggregazione potesse essere cancellato in nome di un’epoca di plastica in cui tutto è preconfezionato. Ora il pericolo sembra scongiurato, sembra che si andrà verso una riqualificazione dell’Appiani tramite interventi privati, con la possibilità di giocarci amichevoli non di prestigio e di farci allenamenti. Mi piacerebbe che la presentazione del Padova ed il primo allenamento si svolgessero all’Appiani, che diventasse una tradizione. Ma perché non pensare di tornarci a giocare un giorno? Cari ragazzi, chi ha vissuto l’Appiani sa benissimo che cosa era, chi ieri c’è stato per la prima volta ha potuto toccare con mano la differenza che c’è con l’Euganeo… Io penso che con l’approvazione della legge sugli stadi, a Padova si possa ragionare su uno stadio di proprietà, ma che rendere tale l’Euganeo comporti un esborso oneroso senza che ci possa essere un vero ritorno economico. Se invece tale operazione venisse fatta con l’Appiani, il ritorno sarebbe assicurato, anzi sarebbero per primi i tifosi a mettere soldi di tasca propria per tornarci a giocare! Con una spesa di gran lunga inferiore a quella per l’Euganeo… Il tutto riportando il Padova in quella che è la sua vera casa! E’ proprio impossibile?

Postato il 22 luglio 2012 da La Padova Bene
Lascio spazio alle foto ed ai video:






 
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14 replies since 1/11/2010, 11:56   3526 views
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