| I tecnici di provincia SARRI È BRAVO PERÒ NON BASTA... Caro Cerruti, tutti elogiano il gioco dell’Empoli, del Sassuolo, del Torino e del Palermo, a prescindere dai risultati che ottengono di volta in volta. Poi, però, nessun dirigente prende in considerazione l’idea di affidare una grande squadra ai vari Sarri, Di Francesco, Ventura o Iachini. Il Milan sceglie prima Seedorf e poi Inzaghi, l’Inter punta su Mancini, il Napoli pensa a Montella, ma per fare carriera basta essere bravi o si deve avere un grande passato alle spalle? Marco Crapanzani, Ragusa
Bella domanda, che merita una riflessione da sottoporre non soltanto ai dirigenti ma anche ai tifosi, perché il cosiddetto «grande nome» piace a tutti a prescindere. Conte aveva già dimostrato le sue qualità a Bari e Siena, ma è stato accolto con entusiasmo a Torino in quanto ex juventino, vincente e tra l’altro capitano. Mancini, anche se non aveva mai giocato nell’Inter, era un ex campione e come tale più «mediatico» di Zaccheroni, di cui prese il posto nell’estate del 2004, malgrado il suo predecessore avesse già vinto uno scudetto nel 1999 con il Milan. A maggior motivo Mancini, dopo i primi successi sulla panchinanerazzurra, è stato nostalgicamente riabbracciato quest’anno per sostituire Mazzarri, bersagliato al di là delle sue colpe. Il discorso può proseguire con Seedorf e Inzaghi, simboli dell’ultimo Milan capace di vincere nel mondo e non soltanto qualche partita in Italia. Chi ha fatto parte della storia della propria squadra, o comunque è stato un campione altrove, parte in netto vantaggio anche se è sbagliato pensare che chi è stato grande in campo può esserlo anche in panchina. I clamorosi fallimenti di Platini e Falcao, come c.t. di Francia e Brasile, non hanno insegnato abbastanza, perché non mi pare di notare segnali che indichino un’inversione di tendenza. E come dice il signor Crapanzani, chi allenain provincia spesso riceve elogi ma non un’offerta di una grande squadra. Il caso più clamoroso è proprio quello di Sarri, artefice del Real Empoli, neopromosso in Serie A, che sta giocando meglio della Juventus e della Roma e oggisarebbe abbondantemente salvo. Capace di lanciare il ventenne Rugani e di rilanciare il trentacinquenne Maccarone (due presenze nell’Italia di Trapattoni nel 2002) in gol nelle ultime quattro partite, Sarri potrebbe benissimo fare il salto in una grande, perché non gli mancano né l’esperienza né le conoscenze né tantomeno la personalità. In fondo anche Sacchi veniva dalla provincia quando il suo Parma nel 1987 diede spettacolo, come l’Empoli, a San Siro. Ma a parte il fatto che Sacchi aveva 41 anni, mentre Sarri ne ha già 56 come Ancelotti, allora Berlusconi aveva avuto il coraggio prima di scegliere quell’allenatore senza nome e poi di difenderlo alle prime contestazioni. Oggi, a quasi trent’anni di distanza, chi ha lo stesso duplice coraggio di andare controcorrente? In fondo, dallo scudetto del Milan vinto da Sacchi nel 1988 alla Coppa Uefa dell’Inter vinta da Simoni nel 1998, in dieci anni era già cambiato tutto a livellomediatico. Infatti neppure quell’allenatore signore, grazie al quale Moratti aveva festeggiato il suo primo successo, riuscì a frenare la voglia di novità del presidente nerazzurro, che fin dalla vigilia della finale di Parigi, contro la Lazio, sognava l’arrivo di Lippi fresco di scudetti juventini. Per analoghi motivi, Tavecchio si è salvato dalla contestazione estiva puntando su Conte, che piaceva a tutti più di Ventura o Zaccheroni, molto più esperti di lui, ma molto meno mediatici di lui. Morale della favola: oggi non basta essere bravi in provincia insegnando a giocare bene, per fare il salto in una grande squadra o addirittura in Nazionale. Bisogna anche avere la fortuna ditrovare dirigenti che capiscano di calcio, senza lasciarsi condizionare dalle mode. Un miracolo, o quasi. la gazzetta
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